Cronache

Un venerdì nella moschea che insegna l'islam con un clic

Il centro islamico Dar al Salam della Cecchignola ha avviato una collaborazione con l’Università Al-Azhar de Il Cairo per corsi online per aspiranti imam

Un venerdì nella moschea che insegna l'islam con un clic

Diventare Imam con un clic? A Roma è possibile. È un normale venerdì mattina nella Capitale quando arrivo nel decentrato viale dell’esercito in zona Cecchignola, non molto distante dalla “cittadella militare”, per visitare il centro di cultura islamica Dar al Salam. In pratica una delle tante 'finte moschee' della Capitale, ma questa da circa un anno ha avviato una collaborazione con l’Università Al-Azhar de Il Cairo, come spesso capita, non è subito visibile anche se c’è un piccolo minareto a segnalarne la presenza. Si trova in una via di lungo scorrimento ed è nascosta, però, dall’ingresso del ‘Bar dello Sport’ e dai suoi tavolini posti all’esterno per la clientela che vuole approfittare del bel tempo.

È l’una quando il ‘custode’, noi lo chiameremo ‘sagrestano’, mi spiega che per saperne di più sull’Università è opportuno parlare con l’imam dopo il sermone del venerdì. Decido di aspettare seguendo tutta la funzione. Man mano che passano i minuti il locale si riempie di musulmani originari di tutto il Nord Africa. I fondatori sono egiziani ma la moschea è frequentata anche da tunisini, algerini e marocchini e persino da qualche italiano. Prima la moschea era in un locale molto più piccolo in una via vicina, via Paolo Buzzi (un cognome che ricorda Roma per altre vicende) ma “abbiamo trovato un’offerta e comprato questo locale a soli 95mila euro con rate da mille euro”, come mi spiegherà in seguito l’imam Araf Mohsen.

Di donne non se ne vede neanche l’ombra perché, come è loro usanza, sono relegate in uno spazio più piccolo separato dal resto della sala. Tutta la funzione si svolge in arabo tranne alcuni passi del sermone che l’imam legge anche in italiano, preparati probabilmente pochi istanti per far capire qualcosa anche a me. Nella sala ci sono più di cento persone, io sono in fondo e capisco poco ma, quando, entro in possesso di quel foglio scritto in parte in arabo e in parte in italiano la mia convinzione che si trattasse di qualcosa di preparato all’istante diventa certezza. Dovranno passare ancora parecchi anni prima che l’italiano diventi la lingua ufficiale per gli imam anche di venerdì.

“Io sono d’accordo a fare il sermone in italiano ma se io devo lavorare, lo devo preparare in arabo e devo gestire la moschea, ci dovete aiutare economicamente e mentalmente. Stiamo sempre a difenderci”, spiega l’Imam, parlando un po’ a nome di tutti i musulmani che, da un lato ringrazia Alfano che alcuni giorni fa aveva detto che “i musulmani non sono tutti terroristi”, ma dall’altro accusa l’Italia di scarsa integrazione. Il suo studio è piccolo ma accogliente e pieno di libri. Da come parla si capisce che è un uomo con una certa cultura e una buona parlantina ma in alcune dichiarazioni si tradisce. “In Italia non abbiamo ancora tutti i diritti. Il miglior Paese europeo come integrazione è la Francia”, dice tralasciando il fatto che gli integralisti islamici hanno già compiuto due attentati. “E ma anche in Egitto ci sono state, o sbaglio?”, ribatte con prontezza correggendo subito il tiro e definendo il popolo italiano “molto aperto” e simile a quello egiziano.

Si vede che cerca di svicolare sui temi politici ma, secondo l’Islam, religione e politica spesso vanno a braccetto ed è preoccupante che in Italia degli aspiranti imam si possano formare con dei semplici corsi online. Secondo Yahya Pallavicini, presidente del Coreis, infatti, “l’università Al-Azhar de Il Cairo è un punto di riferimento di prestigio per il mondo musulmano ma bisogna sempre vedere se il programma adottato è adatto alla comunità in cui si vive”. “L’autenticità della dottrina – aggiunge – non deve essere ideologica o anacronistica ma sempre essere connessa agli usi e ai costumi italiani e, soprattutto, al rispetto delle regole nazionali. È per questo che un corso online è quanto di più superficiale, spersonalizzato e poco attendibile che si possa fare ma certo è di poco meglio che avere un imam fai-da-te”.

Ed è proprio per impedire il fiorire di ‘imam fai-da-te’ che alla moschea della Cecchignola, Araf Mohsen, che vive in Italia dal 1992, laureato con tanto di master e prossimo al dottorato, ha deciso di parlare con l’Università del Cairo presso la quale ha studiato. “Purtroppo ci sono tanti imam fai-da-te a Roma che professano l’Islam non vero e dicono molte stupidaggini in base alla loro ignoranza e perciò vogliamo pubblicizzare questi corsi. Noi raccogliamo i documenti degli studenti e li mandiamo online all’Università che deciderà se accettare o rifiutare quelle candidature”. Ma quali siano esattamente le materie di studio non è dato saperlo. Su questo l’imam della moschea di Cecchignola rimane sul vago anche se ammette “Sì, certamente, insegnano anche la Sharia ma Il Cairo è una città moderna e si insegna l’Islam moderato”. “Quell’Università non c’entra a niente con i Fratelli Musulmani che sono solo il 3% della popolazione egiziana”, spiega, quasi a volermi tranquillizzare ma resto dubbioso perché, sarà un caso ma, proprio questo venerdì, gli altri quattro studenti che si sono iscritti ai corsi online, inspiegabilmente, mancano all’appello.

“La scuola”, secondo Giorgio Mori, responsabile immigrazione di FdI a Roma, “è di per sé un fatto positivo ma rientra in un progetto più ampio che non riguarda soltanto la diffusione del pensiero religioso, ma anche l’integrazione e la stabilizzazione di lungo termine di quella comunità islamica”.

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