Cronache

Il vero peccato è aver perso la tenerezza

Il vero peccato è aver perso la tenerezza

Ha ragione Papa Francesco, e non c'è nemmeno bisogno di essere cristiani. Di più. La tenerezza potrebbe essere una religione. La religione. Basterebbe come credo anche senza storia e parabole. È il più perfetto dei modi di sentire, perché comprende, cura, accoglie e salva. Ti punge senza preavviso e non risparmia il malvagio, l'incallito nei vizi, il cinico. La tenerezza è osservare un particolare e immaginare il tutto. E si scatena alla vista di un bambino, di un anziano, di un cane... vai a sapere dove, attraverso chi ti stana. Ma basterebbe. Basterebbe la tenerezza per essere al riparo da un sacco di cose. Eppure ha ragione Papa Francesco quando, nel corso della messa a Santa Marta, dice che il mondo di oggi cancella dal dizionario la tenerezza, una parola che «fa paura». «La tenerezza consola - dice Bergoglio -, le mamme, quando il bambino piange, lo accarezzano e lo tranquillizzano con la tenerezza: una parola che il mondo d'oggi, di fatto, cancella dal dizionario». È vero che abbiamo smesso di sintonizzarci sul prossimo, che la compassione ci arriva come un disturbo lontano, un motto increscioso da mettere a tacere. Perché oggi ci si sente fessi e deboli a sentire gli altri. A farsi incrinare da un pianto, da un'esclusione, da un'ingiustizia. Si versano oceani d'odio e ci si indurisce in solitario. Lo sguardo sul prossimo dura quanto il frizzare dell'acqua minerale. Dio consolava. E ci si consolava a vicenda invocandolo.

Oggi nessuno si sente vicino a qualcuno: il prossimo tuo non come te stesso.

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