Cronache

Vittime d'amianto 5 anni di carcere per De Benedetti

S i aggrappa a due bugie, Carlo De Benedetti, per proclamare la sua innocenza. Alle undici e mezzo di ieri, dopo una camera di consiglio di appena mezz'ora, il tribunale di Ivrea emette la sentenza che lo condanna per omicidio colposo plurimo e lesioni personali gravissime plurime. Sette operai e impiegati dell'Olivetti sono stati uccisi dall'amianto: De Benedetti sapeva, e non ha fatto nulla per proteggerli. Altri due, un operaio e un'impiegata, stanno morendo in questi mesi, sempre perché nulla è stato fatto. E nulla è stato fatto, dall'Ingegnere e da suo fratello Franco, solo per un motivo: per risparmiare denaro. Come dice il pm Longo dopo la sentenza: «Le esigenze finanziarie, economiche e di bilancio hanno prevalso sulla salute dei dipendenti. È questa(...)

(...) la differenza dal modello di Adriano Olivetti». Olivetti, il fondatore dell'azienda di Ivrea, l'imprenditore illuminato di cui i pm accusano De Benedetti di avere tradito l'eredità, quando nel 1978 ne prese il controllo.

L'Ingegnere viene condannato a cinque anni e due mesi di carcere; pena identica per suo fratello Franco; un anno e undici mesi con la condizionale a Corrado Passera; assolto Roberto Colaninno. Il giudice Elena Stoppini ha ritenuto provata al di là di ogni ragionevole dubbio la colpevolezza di Carlo De Benedetti per tutti i nove capi di accusa indicati nella requisitoria delle pm Laura Longo e Francesca Traverso (che avevano chiesto però una pena più alta, sei anni e otto mesi di carcere). E il conto potrebbe salire ancora. Perché per altri due operai, Antonio Merlo e Domenico Rabbione, uccisi da un tumore diverso dal mesotelioma pleurico, il giudice trasmette gli atti alla Procura perché indaghi ancora sui fratelli De Benedetti. E perché la dottoressa Longo spiega che «c'è un secondo filone, indagini sono in corso su altri dieci nuovi casi». E anche questi ricadono in buona parte nei lunghi anni - diciotto, dal 1978 al 1996 - in cui l'Olivetti era nelle mani di De Benedetti. Per l'Ingegnere è una batosta. Il giudice lo ritiene colpevole sia delle morti per l'amianto da cui erano rivestititi uffici e capannoni che per quello contenuto nella tremolite, il talco in cui venivano avvolti i rulli delle macchine da scrivere. È solo la sentenza di primo grado. Ma in un processo quasi identico, il predecessore di De Benedetti, Ottorino Beltrami, venne condannato anche in appello. Non è un precedente che fa ben sperare.

Ieri, di fronte all'accoglimento in pieno della linea della Procura, l'ottantunenne editore di Repubblica reagisce dicendosi «stupito e amareggiato» per la condanna per «accuse infamanti e inconsistenti». Comprensibile. Ma nel suo comunicato di autodifesa inanella almeno due affermazioni di cui il lungo processo celebrato a Ivrea e terminato ieri ha dimostrato la falsità. «Costanti monitoraggi ambientali eseguiti in azienda hanno sempre riscontrato valori al di sotto delle soglie previste dalle normative», dice: prima bugia, già nel 1981 l'analisi condotta dal Politecnico di Torino evidenziava una concentrazione di 500mila fibre per milligrammo, cinquecento volte oltre i limiti americani. E poi: l'Ingegnere rivendica l'operato del sistema di sicurezza, «da me voluto e implementato fin dall'inizio della mia gestione». Ma nella sua requisitoria la Procura ha dimostrato il contrario, ovvero che «l'Olivetti degli anni '80 e '90 non era più quella di Adriano, cominciava a fare i conti con le crisi di settore e non prestava più così tanta attenzione al problema della sicurezza», e «dal 1978, dopo l'avvento di Carlo De Benedetti, la commissione (ambiente, ndr) si è riunita con minore frequenza». E soprattutto, sulla base delle carte sequestrate a sorpresa nella sede dell'archivio storico dell'Olivetti, la Procura ha dimostrato come De Benedetti non avesse mai delegato a nessuno le funzioni di controllo sulla sicurezza nel luogo di lavoro, attribuite per legge all'amministratore delegato. L'Ingegnere avrebbe potuto individuare un amministratore cui assegnare il delicato compito di garantire la salute sul luogo di lavoro, ma non lo fece. Le nomine dei responsabili dei singoli uffici, come il capo del servizio centrale di sorveglianza Silvio Preve, portano direttamente la firma dell'Ingegnere, a riprova che era lui direttamente a occuparsi dell'argomento. E ancora più significativo è che le diverse commissioni dedicate all'argomento fossero completamente prive di poteri di decisione e di spesa. L'unico a potere deliberare gli investimenti per la rimozione e la bonifica era lui, l'Ingegnere. E fu lui, dicono l'inchiesta della Procura e la sentenza di ieri del tribunale, a decidere di non intervenire e di non spendere.

Ultima inesattezza. «Sono vicino alle famiglie dei lavoratori coinvolti», dice ieri nel suo comunicato l'Ingegnere.

Ma nessuna delle vittime ha ricevuto da De Benedetti nemmeno un euro di offerta di risarcimento.

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