Cronache

Vivisezione, campagna choc: quei poster sono un insulto

Non bisogna scegliere fra cavia e bimba: devono vivere entrambe. Presto una legge per imporre metodi alternativi

Vivisezione, campagna choc: quei poster sono un insulto

Gli italiani hanno aperto gli occhi. Magari ci hanno impiegato più tempo del previsto, ma ormai sanno benissimo che la vivisezione è tanto crudele per gli animali quanto inutile, e pericolosa, per l’uomo. Secondo l’Istituto di ricerca Eurispes, l’86 per cento dei nostri connazionali non ne vuol più sentire parlare. Ed è logico che sia così: le bugie hanno le gambe corte. Quelle raccontate dalle multinazionali del profitto non fanno eccezione. Dopo aver trascorso decenni a prendere per i fondelli l’opinione pubblica, contando sulla sua presunta ignoranza dei «misteri della scienza», per le lobby delle imprese farmaceutiche è giunta l’ora della resa dei conti.
Oggi, infatti, anche ai più distratti è capitato di vedere video o foto che documentano l’abominio della vivisezione, anche i più distratti navigano su internet e sanno che sicuri metodi alternativi, attraverso colture di cellule e tessuti, permettono di sostituire il fallace modello sperimentale animale con quello umano, l’unico affidabile per noi. Forse, per destare completamente dal sonno gli italiani, ci sono voluti i 2.500 beagle di Green Hill, detenuti nel «lager» di Montichiari, forse i 104 macachi condannati a morte da Harlan hanno dato il loro contributo. Fatto sta che, finalmente, nessuno crede più all’argomento principe del perfetto vivisettore: è indispensabile per salvare vite umane. Semplicemente non è vero. E sappiamo che non è vero perché ce lo dice quella parte del mondo scientifico che non ha terrore di perdere i finanziamenti delle multinazionali ed è perciò intellettualmente libero. Del resto, basta una veloce ricerca sul web per «scoprire» che da cinque anni, nei centri di ricerca statale degli Stati Uniti, la sperimentazione animale è stata abbandonata.
Ecco perché é destinato al fallimento il tentativo di lasciare le cose come stanno che, guarda caso, viene ora messo in atto dai soliti noti proprio in occasione del voto in Senato sull’articolo 14 della Legge Comunitaria 2011 che - oltre a vietare in Italia l’allevamento di cani, gatti e scimmie destinati alla vivisezione - impone allo Stato di muoversi concretamente verso metodi alternativi alla vivisezione e quindi verso una scienza moderna.
Dato che hanno a disposizione fiumi di denaro guadagnato con i farmaci, in questi giorni costoro hanno avviato una costosissima campagna pubblicitaria per raccontarci una nuova versione della vecchia favola: l’immagine di una bambina (quanto di più toccante ci sia) accanto a quella di un topo (un animale verso il quale pochi provano empatia) per convincerci che tra i due è meglio sacrificare la bestia. Capirai... Slogan come questi offendono l'intelligenza degli italiani e sono la prova che le multinazionali annaspano, perché la pacchia è finita. Il grande business della vivisezione serve a chiedere generosi finanziamenti per programmi di ricerca manipolabili all’infinito. Serve per foraggiare carriere con pubblicazioni che nel 90 per cento dei casi – ed è un eufemismo - non passeranno alla storia. Ha prodotto errori macroscopici, ormai sotto gli occhi di tutti. Anche i macachi di Harlan sanno che i loro simili, sacrificati per studiare la malattia delle scimmie corrispondente al nostro AIDS, hanno perduto la vita invano: dei 100 vaccini prodotti nessuno è risultato utilizzabile per l’uomo.
Gli interessi economici di queste aziende e degli anziani baroni che da anni figurano nei loro libri paga, non devono più prevalere sul diritto dei cittadini di poter contare su una ricerca scientifica eticamente accettabile e veramente sicura. Riferendosi alla vivisezione, Albert Einstein scriveva che «nessuno scopo è così alto da giustificare metodi così indegni». A maggior ragione oggi. Non c’è bisogno di scegliere tra il topo e la bambina.

Possono e devono vivere tutt’e due.
* Fondatore Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente

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