Stile

Cucina, famiglia & C. «Le mie D'Onne lo sanno»

di Andrea Cuomo

L e donne di Davide Oldani hanno l'apostrofo. Sono D'Onne. Le sue, quelle private, sono la deliziosa compagna Evelina e la figlia Camilla Maria, di 4 anni. Poi ci sono quelle che «non» lavorano per lui, perché «non è colpa mia se di 500 curricula che arrivano 499 sono di uomini». E poi ci sono quelle con cui ha chiacchierato per scrivere il suo libro Le D'Onne lo sanno, uscito qualche giorno fa per La Nave di Teseo (204 pagine, 18 euro). Nove conversazioni con La Pina, Cristiana Capotondi, Malika Ayane, Lella Costa, Patricia Urquiola, Francecsa Lavazza, Federica Pellegrini, Marinella Soldi, Rosangela Percoco).

Davide Oldani ha 51 anni, è uno degli chef più interessanti d'Italia. Ha un suo locale a Cornaredo, nell'hinterland di Milano, il D'O (ricorda qualcosa?), una stella Michelin e soprattutto un'idea forte di cucina inventata una quindicina di anni fa, la cucina POP, che ha un manifesto in dieci punti (il primo? Valorizzare l'equilibrio dei contrasti, in cucina e nella vita) e si basa sul concetto di buono, accessibile ed etico. Hai detto poco.

In questa intervista si parlerà pochissimo di cucina e non si citerà nemmeno un piatto. Giurin giurello.

Davide, del resto tu per primo hai scritto un libro non di ricette.

«Ho scritto questo libro perché qualcuno sostiene che io non voglia le donne in cucina. Io ho solo detto che è raro trovarle, negli ultimi anni sono aumentate e sono felice, ma io dico che alla mia compagna vieterei di fare la cuoca. Voglio che nostra figlia cresca con almeno uno di noi due. Poi non sopporto quelli che mi chiedono perché non ho cuoche donne e non perché non ho lavapiatti donne».

Che rapporto hai con Evelina?

«Lei mi ha insegnato che le donne hanno i controcoglioni. Me ne sono accorto quando ha partorito, non è stato un parto facile. E ho capito che io mica avrei sopportato quello che ha sopportato lei».

Uomini e D'Onne.

«Mi arrabbio quando i cretini vedono il rapporto tra sessi come scontro. Uomini e donne sono diversi, così come il cielo di giorno e di notte. Ed è il confronto tra due cose diverse che fa crescere la collettività».

Frase coraggiosa in un'epoca in cui il diverso è una minaccia.

«Ma noi siamo tutti diversi, è il bello dell'umano! Anche se poi ci piace dire: lui è uguale a me. Macché. Nessuno può entrare nella testa dell'altro. La pace nel mondo la crei con la differenza, non con l'uguaglianza. La democrazia è accettare la differenza di idee, non convincere uno ad accettare la tua. E poi basta con chi ti dice: io farò. Dobbiamo essere giudicati per quello che abbiamo fatto e facciamo».

Tu hai insegnato a Harvard.

«Ci sono andato per raccontare il mio metodo di lavoro, non per spadellare due cazzo di spaghetti».

Un metodo...

«Applicabile alla cucina, al giornalismo, a tutto. Basato sull'etica».

Quando si parla di etica in cucina si evocano prodotti, filiere...

«E invece io intendo l'etica come rapporto umano. Non sei un grande chef se non sei un grande uomo. Io ho 40 dipendenti ma so di essere io dipendente da loro. Qualcuno di loro a volte mi mette in riga e io lo accetto perché so che magari è più sul pezzo di me. Prima di assumere un ragazzo lo frequento per un anno, un anno e mezzo, lo invito a mangiare qui, gli faccio leggere i miei libri. Poi semmai lo assumo. Così non rischio di doverlo poi licenziare, che è la cosa più deprimente perché avvilisci un ragazzo».

Tu non ti avvilisti da giovane?

«Uno chef mi disse che non dovevo stare in cucina perché giocavo a calcio in C2. Ora nessuno sa chi è lui e tutti sanno chi è Oldani».

Ti consideri un tipo di successo?

«Sì ma nel senso che faccio succedere cose».

Vivi da signore.

«Guardati intorno, io sono un re. Vivo nel lusso, nel bello. Piero Lissoni, un archistar, mi ha chiesto di fare delle cose per lui. Quando questo accade o qualcosa non va o qualcosa va fin troppo bene. Ma se mi togliessero il lusso potrei vivere comunque. So come si costruiscono le cose. So da dove arrivo».

Alcuni ti considerano un genio, altri un irregolare...

«Mi importa quello che si dice di me e chi parla male di me è un coglione. O non è riuscito a mangiare da me. Ma ho imparato che non si può piacere a tutti. Meglio piacere a chi si vuole. E imparare ogni giorno una cosa».

Ieri che cosa hai imparato?

«Dunque ieri... Ah sì, finalmente un pizzaiolo amico mi ha chiarito una fase della lievitazione».

Ma tu, che cosa vuoi?

«In fondo solo essere capito. Anche se poi non sempre conviene perché se parli il politichese e il poetico puoi sempre ingannare. Ma che tristezza una vita di espedienti. Io voglio una vita in cui sognare. E il 90 per cento dei miei sogni si è sempre avverato».

Sarei scemo a non chiederti qual è quel 10 irrealizzato.

«Non giocare in serie A perché un coglione mi spaccò la gamba. Ma fui più coglione io che già ero in C2 con la Rhodense e volli per forza giocare l'ultima partita di un torneo scolastico. Bum. Frattura scomposta (mostra la gamba destra ancora deformata, ndr) e sliding doors».

C'è un modo di venirne sempre fuori bene?

«Sì, con le idee chiare e il rispetto. Io pretendo che i miei ragazzi stringano la mano la mattina quando arrivano e la sera quando vanno via. È l'armonia che fa la differenza. Ho anche un menu che si chiama Armonia. Armonia, Esattezza e Molteplicità, un po' copiata dalle lezioni americane di Calvino».

Che cos'è l'armonia in cucina?

«L'equilibrio nei piatti è il massimo. Se sogno un cinghiale che mangia una banana po mica ti faccio un cinghiale alla banana».

Che rapporto hai con le critiche?

«Ottimo, non me ne fanno quasi mai...».

Parli spesso di idee.

«Sono la cosa più importante che hai. Prima devi capirle e dopo capite non devi mollarle mai. Già è difficile portare un'idea nella vita, figurati se continui a cambiarla».

La tua si chiama POP.

«Qualcuno mi dice: sempre il POP. Certo l'idea evolve. Ma pop è ciò che è bello e comprensibile. Andy Warhol, Michael Jackson si sono arricchiti con il pop e sono considerati dei geni».

Tu parli di accessibilità, ma è difficile trovar posto nel tuo locale.

«Io sono inclusivo per i prezzi ma esclusivo perché non riesci a prenotare. Quindi faccio selezione non sulla base economica ma della voglia. Diciamo esclusività democratica».

Ehi, non abbiamo citato nemmeno un piatto. Potrei vedere il menu?

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