Cultura e Spettacoli

Bergamín, il genio scomodo che illuminò l'oscurantismo

Poeta di vastissima cultura, vedeva nell'analfabetismo una difesa necessaria dell'ordine del mondo. E nella superstizione il più chiaro segno dell'intelligenza

Bergamín, il genio scomodo che illuminò l'oscurantismo

Come considerare uno scrittore che crede in Dio e nel Diavolo, a cui assegna speciale importanza, che coltiva una metafisica barocca, elogia l'ignoranza e l'analfabetismo, ama la corrida e apprezza la superstizione? Un oscurantista, si direbbe con i canoni dominanti. Eppure quello scrittore è stato antifranchista, repubblicano e di sinistra, anzi per un periodo fu comunista, e poi fu separatista basco, amico di intellettuali e artisti antifascisti. Così accade di leggere un libretto, peraltro delizioso, a lui dedicato, e a seguire alcuni articoli che ci parlano della vita di quell'autore ma tacciono di ciò che davvero pensò. Sto parlando di José Bergamín (1895-1983), sulfureo scrittore madrileno. L'occasione per farlo è l'uscita di un agile ricordo a lui dedicato, L'ultima apparizione di José Bergamín di Ginevra Bompiani (Nottetempo, pagg. 30, euro 3). Una lieve galleria di ricordi dell'ultimo Bergamín, magrissimo e loquace, pervaso da una «leggerezza fantastica», sorpreso nella vita quotidiana a bere il suo brodo, il caldo de la casa, a ballare da solo con un melone tra le mani e a deliziare amici e camerieri con i suoi giochi di parole.

In Italia conoscemmo Bergamín più di quarant'anni fa, grazie a una casa editrice ritenuta all'epoca «reazionaria», la Rusconi diretta da Alfredo Cattabiani, che pubblicò il suo splendido Decadenza dell'analfabetismo, con un saggio introduttivo di Giorgio Agamben. Fu ristampato poi nel 2000 quel prezioso vademecum antimoderno, da Bompiani, con la prefazione di Vittorio Sgarbi. Ma di lui, con qualche fatica, è possibile procurarsi in Italia anche libri come La bellezza e le tenebre e Frontiere infernali della poesia, che evocano in chiave spagnola La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, il grandioso affresco dell'anglista Mario Praz. La poesia per lui dimora in un bicamere paradiso/inferno. Per Bergamín il miracolo della poesia risiede nel convertire un momento storico in un istante eterno. «Bisogna ammazzare il tempo per nutrirci del suo sangue». Culto della bellezza, centralità dell'anima, incanto romantico e tentazione dei demoni sono gli ingredienti della poesia secondo don José, detto Pepe dagli amici; in quelle pagine c'è francamente assai poco delle ideologie di stampo materialistico, razionalistico e positivistico che pure agitavano la Spagna rossa. In lui c'è Ortega y Gasset e c'è Unamuno, c'è l'eterna Spagna con le sue tradizioni, c'è la Spagna onirica da Calderón de la Barca a Louis Buñuel, suo amico, c'è don Chisciotte, naturalmente. Di Bergamín si può trovare anche L'arte del toreare e la sua musica silenziosa (edizioni SE). In questo elogio della corrida è spiegato che l'arte magica e prodigiosa del toreare possiede una sua musica intima e visibile, la stessa «musica silenziosa» di cui parlava in una famosa poesia Rafael Alberti e che Bergamín così esprime: «Musica per gli occhi dell'anima e per l'udito del cuore, il terzo orecchio, del quale ci parla Nietzsche, quello che ode le armonie superne». Bergamín definiva Nietzsche «scrittore cristiano».

Il suo curioso punto d'incontro tra la visione spirituale e tradizionale e il suo immaginario comunismo è nella convinzione antica che la vox populi sia vox dei. La voce del pueblo, dice Bergamín, è voce divina. E dunque, desume, la rivoluzione popolare è Dio che irrompe nella storia. Anzi «Dio può essere rappresentato popolarmente - mi perdonino i teologi - come la rivoluzione in persona». Giriamo l'eccentrica riflessione a Papa Bergoglio, populista come Bergamín e come lui ispanico di origine veneta...

Ma il suo testo più smagliante tradotto in Italia è Decadenza dell'analfabetismo. La sua tesi, genuinamente antimoderna e reazionaria, è che l'analfabetismo è la vera cultura dei bambini e dei popoli. Le sue radici affondano nella realtà e nell'animo umano e danno luogo a una visione del mondo e della vita che vale assai più dell'erudizione e dell'alfabetizzazione. Il bambino, nota Pepe citando Goethe, pensa solo per immagini e dice il suo pensiero ad alta voce, dunque è visione e cultura orale. E fa tutte le cose per gioco. Così i popoli, che pensano e credono contemporaneamente, giocando. «Dio gioca con i popoli analfabeti come i fanciulli, il Diavolo si gioca sempre i popoli letterati». Da cui deduce che l'analfabetismo è «la comune denominazione poetica di ogni stato veramente spirituale». I popoli più colti tendono alla decadenza.

E con la «cultura televisiva» o di internet, come la mettiamo? È un passo avanti, un segno promettente di analfabetismo di ritorno oppure no? Peraltro l'elogio della beata ignoranza proviene da un autore erudito, colpevole di propagare il virus dei libri, avendo fondato la casa editrice Seneca. Ma dietro l'elogio dell'analfabetismo c'è in Bergamín la difesa tradizionale dell'ordine del mondo e delle sue gerarchie, mentre l'ordine alfabetico è «un falso ordine», anzi «è il maggior disordine spirituale». A confermare il suo vibrante oscurantismo, Bergamín afferma che la decadenza dell'analfabetismo è cominciata con i Lumi. Dopo pagine dedicate all'importanza dei demoni - in Andalusia, scrive, il Demonio viene chiamato il Cavaliere - Bergamín osserva con Bergson che «un essere essenzialmente intelligente è naturalmente superstizioso; giacché - ribadisce sfiorando la tautologia - la superstizione è possibile solo negli esseri intelligenti». Poi sparge perle in forma di aforismi del tipo «Occorre avere un Dio, un'amante e un nemico - Esattamente, occorre avere tre nemici». Per lui la vera poesia come la vera sapienza proviene dalla noia, che «è la porta segreta del paradiso»; «la noia dell'ostrica produce perle».

Da vecchio, Bergamín sosteneva che a sessant'anni ci si può suicidare, a settanta è consigliabile, a ottanta è obbligatorio. E lui, giunto a ottant'anni ci provò. Andò sul balcone, prese la rincorsa per scavalcare la ringhiera. Ma perse l'equilibrio e cascò all'indietro - racconta Ginevra Bompiani - rompendosi una gamba. Anche per suicidarsi ci vuole una certa aitante vitalità. Bergamín sostiene che nello spirito umano c'è una tendenza all'eccesso, e per lui i due estremi sono il cattolicesimo e il manicomio, Pascal e Nietzsche. Lui volle essere ambedue. Perché a suo dire, giunti a certi estremi «il solo modo di aver ragione è perderla».

Bizzarro Bergamín, comunista antimoderno, un po' toro un po' torero, e tanto don Chisciotte.

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