Cultura e Spettacoli

Berlusconi sa bene cos’è la cultura, la sinistra non sa ancora cos’è la libertà

Il Cav ha aiutato quel passaggio alla cultura di massa che molti intellettuali del ‘900 non hanno mai accettato, ma che media visivi e web hanno imposto come forza storica dirompente

Palazzo Mondadori a Segrate
Palazzo Mondadori a Segrate

Fabrizio Rondolino, di formazione filosofo e di professione giornalista, è stato netto e impietoso; qualche giorno fa, in un articolo pubblicato su Europa, il quotidiano dei renziani d’attacco, ha scritto che “Berlusconi non sa cosa sia la cultura”. La ragione di un giudizio così inappellabile è stata la conferenza stampa con cui il Cavaliere ha presentato il nuovo Dipartimento Cultura di Forza Italia, con a capo Edoardo Sylos Labini, artista ed intellettuale non conformista.

La colpa di Berlusconi è di aver dichiarato quello che sembrerebbe normale a qualsiasi persona dotata di buon senso; e cioè che lui è il più grande imprenditore culturale italiano.

In effetti, se non si frequentano troppo i cimiteri dei premi letterari, i salottini degli intellettuali impegnati e le sedute psicanalitiche dei critici d’essai, non si avrebbe difficoltà ad ammettere che, dalla televisione al cinema, dall’editoria al teatro, Berlusconi ha aiutato quel passaggio alla cultura di massa che molti intellettuali del ‘900 (da Hanna Arendt a Pasolini) non hanno mai accettato, ma che i media visivi e ora il web, hanno imposto come forza storica dirompente.

È difficile non riconoscere che è stata Mediaset a cambiare l’immaginario del paese; che è grazie a Medusa che sono tornati da noi gli Oscar che mancavano dai tempi d’oro del cinema italiano; che è Mondadori a tenere in piedi il nostro mercato dell’editoria.

Nel 1978, quando Rondolino frequentava le sezioni del Pci, e Berlinguer e i suoi intellettuali si scagliavano contro la tv a colori con lo slancio mummificante tipico di ogni ideologia, la famiglia Berlusconi acquistava l’antico teatro Manzoni di Milano salvandolo dalla trasformazione in centro commerciale; ed è qui che sono state realizzate alcune delle più straordinarie produzioni teatrali degli ultimi anni: dalla “Maria Stuarda” di Zeffirelli, al “Macbeth” di Gassman, al “Fiore di cactus” di Albertazzi.

Secondo Rondolino tutto questo non dimostra nulla, perché “la vera cultura, per Berlusconi, è un fatturato”. Se Rondolino avesse letto Ayn Rand non sarebbe così perentorio; per la filosofa capitalista e libertaria, l’imprenditore che genera ricchezza e occupazione, che costruisce con le sue intuizioni e il suo lavoro possibilità nuove, è di fatto un individuo creatore; quindi (aggiungiamo noi) un artista. Il fatturato di un’impresa può essere un’opera d’arte molto più di alcune schifezze esposte alle Biennali. Lo sanno bene tanti intellettuali e artisti così attenti al loro “fatturato personale”.

La realtà è che l’orfanotrofio culturale della sinistra italiana ha trasformato molti intellettuali in orfanelli in perenne conflitto con i genitori adottivi; e così quando Rondolino (che spesso sa essere intelligenza libera e non conformista) arriva a scrivere che Mondadori “è un editore-supermercato che pubblica ogni cosa” e Mediaset “una tv generalista che per statuto appiattisce e omologa”, si è portati a pensare: ma è lo stesso Rondolino che pubblica libri per Mondadori e realizza format per l’altra tv generalista, la Rai? Ovviamente sì. Quindi qualcosa non funziona nel solito ragionamento sulla bellezza della cultura di nicchia e l’opacità della cultura di massa.

Con buona pace degli snob, Berlusconi non è solo un “imprenditore culturale”, ma è anche un imprenditore liberale; e affermare che “il centrodestra non ha cultura perché Mondadori e Mediaset non la fanno”, tradisce la solita deformazione ideologica, secondo la quale la cultura non serve allo spirito o al portafoglio (cose entrambi nobili) ma al partito. Un imprenditore non fa cultura, la produce; all’artista e all’intellettuale spetta il compito di realizzare “l’oggetto culturale”. Questo spiega perché intellettuali e artisti anti-berlusconiani lavorano nelle tv di Berlusconi, scrivono sul giornale di Berlusconi, girano film con i soldi di Berlusconi, pubblicano libri con l’editore Berlusconi; e questo spiega anche perché a quelli filo-berlusconiani è vietato scrivere su Repubblica, editare libri con Feltrinelli o lavorare per qualche produttore di sinistra.

La verità è un'altra: Berlusconi sa bene cos’è la cultura, mentre la sinistra non sa ancora cos’è la libertà.

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