Cultura e Spettacoli

Bonomi, antifascista pragmatico e incompreso

Ivanoe Bonomi,tranne rare eccezioni, non ha mai goduto di buona stampa. «Un socialista che si contenta» lo definì Gaetano Salvemini; un «fascista mancato» apparve a Piero Gobetti mentre Antonio Gramsci lo accusò apertamente di connivenza col fascismo. Anche gli storici non furono teneri con lui, Gaetano Arfé, ad esempio, giudica «miserando» il suo governo (luglio 1921-febbraio 1922) e Luigi Cortesi nella voce dedicatagli nel Dizionario biografico degli Italiani ne delinea un ritratto sostanzialmente negativo. In realtà, Bonomi, autore di quelle Vie nuove del socialismo (1907) che gli valsero la qualifica di Bernstein italiano, era un liberaldemocratico a tutto campo che dal socialismo riformista era passato, con Leonida Bissolati, al laburismo e, infine, si era avvicinato alla democrazia giolittiana, in una coerente evoluzione ideale.

L'infaticabile attività di ricerca di Luigi Cavazzoli -con i suoi otto volumi, tra atti di governo, documenti di partito, scritti giornalistici e storici- ci restituisce la figura di un intellettuale militante, di uno statista, di uno storico che esprime, in sommo grado, le virtù civili della Lombardia di Carlo Cattaneo e gli ideali di Giuseppe Mazzini. In particolare, il recente Il Governo Bonomi 1921-1922 , sempre a cura di Luigi Cavazzoli (Ed. Lacaita), che si avvale di un ottimo saggio di Luigi Gualtieri, fa giustizia sia delle presunte complicità di Bonomi nei confronti delle camicie nere -che, reagendo al biennio rosso del 1919-1920, misero a soqquadro il Paese in quello successivo- sia della irrilevanza delle misure di governo prese nei mesi che lo videro presidente del Consiglio. Tali misure riguardavano non solo il ristabilimento dell'ordine pubblico, di cui fu incaricato il Prefetto Cesare Mori (quello che durante il regime avrebbe debellato la mafia), ma, altresì, una politica di risanamento del bilancio e di promozione dell'occupazione non con la carità di Stato ma con imponenti infrastrutture intese ad agevolare la ripresa economica. Non fu certo colpa di Bonomi se ormai la situazione politica si era incancrenita al punto da rendere impensabile il ritorno alla vita parlamentare di un tempo. Un Giolitti più giovane, forse, sarebbe stato in grado di «domare» il difficile Parlamento uscito dalle urne nel 1921 ma il mite Bonomi non aveva la tempra del lottatore e gettò la spugna quando i socialisti di Turati che avrebbero dovuto aiutarlo a formare un governo autorevole, capace di ristabilire la legge e l'ordine, gli fecero mancare l'appoggio.

Onesto e limpido storico, Bonomi raccontò queste vicende in pagine convincenti in cui l'ascesa al potere di Mussolini veniva riportata alle sue cause storiche e il fascismo analizzato nella sua sociologia, senza nulla concedere alla vulgata della «reazione di classe». Roberto Chiarini, che ha svolto sul tema riflessioni di grande finezza, ha rilevato che negli scritti sul fascismo non si forgiano le armi per combattere la dittatura. Sennonché ci si chiede: nella storia europea dell'800 e del '900 quali possibilità ha mai avuto l'opposizione democratica a un regime tirannico di rovesciarlo mobilitando il popolo in nome della libertà? Un movimento politico che s'impossessa dello Stato moderno, dispone di leve istituzionali -amministrazione, esercito, polizia segreta- che lo rendono invulnerabile. Non si conosce un solo caso, pertanto, di “regime forte” che sia crollato grazie alla lotta senza quartiere dei suoi avversari. In genere, è una guerra persa - i due Napoleoni sconfitti a Waterloo e a Sedan, i colonnelli greci e quelli argentini- ad abbattere le dittature e, quando non c'è di mezzo una sconfitta militare sono il problema cruciale della successione al caudillo a farle crollare su se stesse o l'implosione dovuta all'incapacità di gestire l'economia assicurando alla popolazione i beni di prima necessità.

Quando i colpi di Stato sono coronati dal successo, i liberali possono solo ripiegare nell'esilio interno (o estero) e, convinti che «la libertà ha l'eterno», provvedere alla formazione culturale delle classi politiche democratiche che assumeranno la guida dei governi con la fine delle dittature. Ma non è quanto fecero i Benedetto Croce e gli Ivanoe Bonomi, attendendo che il consenso al duce venisse meno e qualche tragico imprevisto lo rimuovesse dal potere?

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