Cultura e Spettacoli

Buffoni e ciarlatani nel grande circo dei premi letterari

Un feroce romanzo satirico sbeffeggia la vanità di scrittori, editori, giornalisti e critici

Buffoni e ciarlatani nel grande circo dei premi letterari

L'austriaco Thomas Bernhard, autore de Il soccombente (Adelphi), considerava i premi letterari «un'umiliazione» equivalente al farsi «cagare in testa». Tuttavia, proseguiva Bernhard, l'artista ha sempre bisogno di soldi e se qualcuno offre del denaro «vuol dire che ne ha ed è giusto alleggerirlo». Inevitabile quindi partecipare. Certo, bisogna accettare di sottomettersi al giudizio dei giurati, «solo grandi coglioni, un consesso delle peggiori schiappe, un'assemblea di canaglie».

Nei prossimi giorni arriva in libreria una feroce satira dei premi letterari, il romanzo Senza parole (Neri Pozza, pagg. 208, euro 16) di Edward St Aubyn. Lo scrittore inglese, classe 1960, discendente di una nobile famiglia della Cornovaglia, si lascia alle spalle, con quest'opera leggera, la saga I Melrose (Neri Pozza), composta da cinque romanzi che sono un immane regolamento di conti con se stesso. Ne I Melrose , St Aubyn ritrae l'ipocrita alta società britannica, un mondo ove la conversazione faceta vorrebbe essere il riflesso superficiale di un'intelligenza profonda ma è soltanto la maschera dietro alla quale si cela una vertiginosa pochezza umana. St Aubyn ha anche il coraggio di scavare a fondo in quella pochezza, scrivendo pagine universali sulla paura, la cattiveria, la vendetta, il rimorso e soprattutto l'eterno ritorno a tutto ciò che ci fa male. La dipendenza dunque: non solo dalle droghe ma anche dai sensi di colpa, dalle ferite del passato, dalla certezza che il dolore sia l'unico orizzonte possibile. Questi romanzi abissali sono indimenticabili per l'umorismo cinico di St Aubyn, un tipo a cui non sfugge mai il lato grottesco della vita.

Fuori dall'abisso ma armato della stessa cattiveria, ora St Aubyn si concede il meritato divertimento. In Senza parole c'è in ballo un importante premio letterario, l'Elysian Prize, sponsorizzato da una industria che vuole nascondere i suoi redditizi prodotti: diserbanti tossici, sementi killer di ogni biodiversità e forse armi chimiche. A presiedere la giuria finisce un politicante di terza fila, Malcolm Craig, chiamato da Sir David Hampshire, ex funzionario del ministero degli Esteri ora nel consiglio di amministrazione della grande azienda. Craig può contare sull'aiuto degli altri giurati, un «consesso delle peggiori schiappe», per dirla con Bernhard. La giornalista Jo Cross verga editoriali che spaziano dall'aborto allo Zimbabwe ma il suo vero successo è la rubrica settimanale Notizie dal fronte di casa mia nella quale si lamenta di marito e figli. Penny Feathers, ex amante di Sir Hampshire, non sa neppure perché sia stata reclutata. In compenso scrive thriller alla Le Carré con l'aiuto decisivo di un software che le suggerisce parole e frasi «mozzafiato». Tobias Benedict è un attore di una ignoranza spettacolare ma è anche figlioccio di Sir Hampshire. Infine c'è l'accademica Vanessa Shaw, sostenitrice della «vera letteratura» con motivazioni «illuminanti». A esempio spera nella vittoria di un libro «strutturato e destrutturato grazie a una sistematica autocontraddizione, proprio come la vita si fonda sulla contraddizione della morte».

A questa Armata Brancaleone tocca il compito di scegliere il romanzo dell'anno, decretandone il successo nelle classifiche di vendita. Per questo l'Elysian Prize è tanto ambito da scrittori, agenti ed editori. Categorie sulle quali St Aubyn infierisce con sommo piacere. Gli autori sono narcisisti all'ultimo stadio, bambocci affetti da sentimentalismo, ninfomani, megalomani con tendenze omicide, rompiballe ossessionati da Foucault… L'agente John Elton, servile coi vincitori e spietato coi vinti, sta cercando di mettere sotto contratto gli artisti più promettenti. Le case editrici si regolano come le cosche al punto che la prestigiosa Page and Turner è stata acquistata da un ambiguo «imprenditore» russo desideroso di differenziare gli investimenti.

Tra le opere al vaglio dei giurati, ci sono storie della working class scozzese allo sbando dopo i tagli allo Stato sociale, alate prose scritte «da una giovane neozelandese adottando il punto di vista di William Shakespeare», monumentali epopee delle nobili caste indiane cui sono stati sottratti quasi tutti i privilegi. E poi c'è l'outsider: un libro di ricette tradizionali inviato per errore alla segreteria dell'Elysian Prize e subito scambiato per un esperimento di «decostruzione del genere romanzo».

Nessuno si salva. Patetico chi vuole mettere al centro gli «esclusi» a prescindere dal valore letterario. Patetico chi difende i diritti della buona narrativa con assurde formule da pallone gonfiato. Tutti sono imprigionati in un ruolo. Tutti sono preoccupati di ottenere il massimo in termini di potere e visibilità. Giunta l'ultima pagina, viene il sospetto che il problema non riguardi il mondo della cultura in particolare. Forse tutti siamo, o ci sentiamo, inadeguati e due spanne sotto le nostre ambizioni. Di certo St Aubyn non risparmia se stesso: l'Elysian Prize assomiglia al Man Booker Prize a cui egli ha partecipato. Da far leggere ai candidati al Premio Strega.

Magari si convincono che aveva ragione Bernhard.

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