Cultura e Spettacoli

Così Banks racconta la crisi sulle orme di Steinbeck

Provate a dire a Russell Banks che la lotta di classe è passata di moda. Lui se ne occupa praticamente da quando suo padre, idraulico, mollò la famiglia che il piccolo Russell aveva dodici anni, e siamo nel 1952. Banks non ne fa un dramma e provvede alla madre e a tre fratelli, e siamo nella minuscola cittadina di Barnstead, New Hampshire. E non bastasse, a scuola è uno studente eccellente, tanto da vincere una borsa di studio full alla Colgate University. Da dove tanto zelo? Russell ha in testa un progetto preciso: la rivoluzione. Sicché dopo il primo anno di studi si ritira: vuole raggiungere l'esercito di Castro a Cuba. Ma finisce in un grande magazzino di Lakeland, Florida. Questo percorso dal New Hampshire alla Florida è lo stesso dell'antieroe - «un uomo comune» lo definisce il suo creatore, destinato a diventare «un esempio da evitare» - protagonista di quello che molti considerano il suo romanzo migliore. Romanzo con il quale ha vinto il Dos Passos ed è stato finalista al Pulitzer: La deriva dei continenti, appena tradotto da Einaudi (pagg. 450, euro 19,50).
Datata 1985, l'epica vicenda di Robert Raymond Dubois, che ha assicurato a Banks quasi trent'anni fa il posto nei romanzieri americani di prima classe, arriva da noi soltanto ora. In un momento in cui però le gesta parallele di un trentenne che nel 1979 percorre tutta la East Coast verso la Florida «terra promessa» per inseguire un miraggio di benessere - e trova la fine tragica per mano di un capobranco e dei suoi bravi - e quelle della sua omologa haitiana Vanise Dorsinville in fuga da Haiti per lo stesso motivo, oltre ad avere numerosi punti di contatto con la biografia dello stesso Banks, garantiscono un'attualità senza precedenti. Globalizzazione, immigrazione, violenza, crollo del sogno americano, e insomma lotta di classe sono i temi nemmeno tanto sottesi a questo on the road che parte da John Steinbeck e arriva a Ken Loach passando per Pasolini (Banks lo considera il suo regista preferito). Quello che è interessante però, e che rende grande il romanzo, è che Banks non pretende di identificarsi né con le motivazioni né con la vicenda di Dubois - anche se a tratti ne avrebbe avuto i motivi - ma raccoglie le forze per raccontarla al meglio sapendo che in lui alberga parte di quell'«animo piccolo borghese americano» che rievoca nell'envoi finale del libro.
Non serve memoria, scrive Banks, per raccontare queste storie al meglio, ma compassione, rabbia, amore, ossessione, vergogna: «Sabotaggio e sovversione, dunque, sono gli obiettivi di questo libro». Di nuovo, la rivoluzione, senza politica, senza retorica, solo impulso vitale, che di anacronistico, dunque, non può avere nulla, e tutto, invece, di grandiosamente letterario. La deriva dei continenti è, come scrive lo stesso autore, «una storia americana di fine XX secolo» che dimostra che «Nulla è gratis nella terra della libertà». Ma il fascino sta anche nell'unione, del tutto à la Steinbeck, tra la terra e l'uomo: il New Hampshire «affonda nell'oscurità senza crepuscolo» in cui «Semplicemente, la luce è sostituita dal freddo». E l'animo di Bob Dubois non è da meno: se fuori è buio, guardarsi dentro non consola.
Oggi Banks è uno degli idoli di Jonathan Franzen, è l'autore della potenziale sceneggiatura voluta da Coppola per il sempre potenziale Sulla strada tratto da Kerouac, è amatissimo anche in Europa dopo che dai suoi romanzi sono stati tratti film come Il dolce domani e Tormenta, diretti da maestri come Atom Egoyan e Paul Schrader, altri due film sono in preparazione (La legge di Bone con la regia di Debra Granik e American Darling diretto dalla canadese Denise Villeneuve) e Baldini Dalai ha da poco tradotto anche La memoria perduta della pelle (pagg. 415, euro 19,50), storia dell'ennesimo suo eroe emarginato, Kid, ventenne randagio pornodipendente virtuale cambiato da un mentore sociologo.
Ma da quel grande magazzino in Florida in poi, la strada per Banks è stata praticamente sempre in discesa, ben oltre i miraggi, fino a quattro matrimoni, quattro figli e la firma su alcuni tra i più acclamati romanzi americani, tra cui La legge di Bone (Einaudi) e raccolte di racconti, come L'angelo sul tetto (sempre Einaudi). Boston lo vede scrivere i primi racconti e poesie, l'Università del North Carolina fondare la sua piccola casa editrice con annessa rivista letteraria, Lillabulero, il volume del 1971 di The Best American Short Stories include la sua firma, e dopo il primo romanzo, Family Life, e altri racconti, trova il suo fuoco: il cosiddetto «New Englander», cioè se stesso, nativo della regione delle radici americane, il New England, appunto. Un uomo che contiene in sé i germi del nativo e dell'oppressore, del borghese e dell'operaio, votato all'indipendenza di corpo e pensiero, a tutti i costi, al culto della letteratura, della filosofia. Della rivoluzione, in un certo senso.

Insomma, uno yankee.

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