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Così il «neomarketing» ci vende i libri sul web

Così il «neomarketing» ci vende i libri sul web

Che l'ultima vittoria di Obama sia stata in gran parte dovuta al più grande esempio di data-mining - estrazione e analisi di dati - della storia del digitale è ormai cosa nota. L'operazione, nota come «Narvalo», ha richiesto uno staff di oltre cento cervelli-nerd che di politica non sapevano nulla, ma che sanno come usare il lifelogging - ovvero la misurazione di tutto quel che esiste di misurabile nella vita quotidiana di ciascuno di noi - per aggiudicarsi il miglior piazzamento nelle preferenze del target di riferimento.
Nel caso di Obama, il target in questione erano «gli americani», punto. Ma nel caso di un editore o di uno scrittore o di un singolo libro? Diciamo che la caccia ai «Big Data« - gusti, abitudini, quesiti che permettono di «schedare» i lettori in modo da indirizzarne gli acquisti online, per quanto riguarda sia i libri cartacei che gli ebook - sono state e sono una delle chiavi del successo di giganti come Amazon. Ma stanno diventando anche una risorsa strategica per gli editori e i self-publisher nostrani. Chi vende un titolo online ha ormai a disposizione una serie di «modelli» di neomarketing grazie ai quali affiorare ai radar delle classifiche in modo veloce e quasi sicuro. Modelli che chi si affida ai canali tradizionali ha sempre sognato di possedere. Modelli che chi compra farebbe bene a conoscere, per distinguere, come si dice, il grano dal loglio.
Il segreto sta nel «portare l'intelligenza dei propri clienti nell'interfaccia», insomma sfruttare le azioni compiute dai clienti nello store digitale e le tracce lasciate per trasformarle in motivazioni d'acquisto per i clienti a venire. L'antico cross selling, che ricorda a tratti le tecniche di vendita porta a porta. Qualche esempio? Diamo per esaminate le «evoluzioni» del marketing tradizionale: copertine «adattate» alla rete (colore squillante, lettering importante, da «pugno nell'occhio» perché si dispone dello spazio di un francobollo: il caso della enorme «F» di Freedom, che per Libertà di Jonathan Franzen sostituiva l'uccellino della cover cartacea, è l'esempio da manuale); titoli «rielaborati» con parole chiave per apparire nella prima pagina dei motori di ricerca; operazioni commerciali inattuabili nel mondo reale: scompare Rita Levi Montalcini e nel giro di mezz'ora Rizzoli rilancia il libro di una sua allieva, 11,99 euro, con un'offerta a termine a 6,99 euro.
Partiamo invece dall'azione di self marketing on line più strumentale che si possa fare per «farsi vedere», dando per scontato che le classifiche siano, per chi compra in Rete, un punto di riferimento: aumentare la propria posizione in classifica comprandosi copie. Spesso ne bastano poche per emergere, dapprima nelle classifiche di genere e poi con la scalata all'agognata Top100 di Amazon. Se poi calcoliamo che oltre il 50 per cento delle royalty di chi si autopubblica va all'autore, possiamo dire che si tratta di una strategia di lancio rapida e quasi indolore: «Ammetto di aver comprato copie del mio libro da regalare o che il mio editore ne abbia inviate ai blogger e che il give away sia un ottimo sistema per aumentare la visibilità» racconta Viviana Giorgi, al momento in Top100 Amazon con Un cuore nella bufera (emmabooks) e quinta nei romance. «All'inizio serve. Poi il libro rimane in classifica solo se è di qualità». Più sofisticata è la decisione di comprare copie del proprio titolo in abbinata all'opera di uno scrittore blockbuster: il nome dell'autore sconosciuto X apparirà accanto a quello, chessò, di Chricton o di E.L. James, secondo la formula «Chi ha comprato E.L. James ha comprato anche X». E X acquisisce qualità e leggibilità per osmosi. Anche questo, nel mondo reale, non è fattibile.
Non meno importante è la «sindrome tripadvisor», per cui persino Amazon ha sollecitato su se stessa un autodafé: le autorecensioni, che sfruttano la lettura come fenomeno social. L'autore si autoelogia e denigra i titoli altrui, firmando con pseudonimi, e manipola il gradimento percepito. E anche questo influisce sulle classifiche: «Le modalità di controllo ci sarebbero, ma non ci sono stimoli a metterle in atto», ci spiega Marco Ferrario di Bookrepublic, il principale store indipendente di ebook in Italia. «Questo mercato sta cambiando: stiamo passando da early adopter a mainstream, che spesso compra senza lasciare tracce. Gli editori possono creare community, come abbiamo fatto noi con Zazie, in cui il lettore viene spinto a uscire allo scoperto online. Ma agli editori tocca soprattutto imparare a monitorare le vendite e ciò che le determina in tempo reale». Questo sarà uno dei temi del prossimo convegno internazionale «If Book Then», il 19 marzo prossimo a Milano.
Peter Collingridge, che collabora con le branch inglesi dei più grandi editori globali come O'Reilly o Random House, ha creato un software che permette di conoscere tempo e intensità di reazione sulle vendite del singolo tweet di un autore: «Ha avuto enormi difficoltà nel farlo accettare ai manager» commenta Ferrario. «I motivi? Gli editori preferiscono affidarsi alle vanity metrics o alla movimentazione di magazzino: sono fermi a decenni fa.

E i manager non apprezzano strumenti di valutazione troppo sofisticati sul proprio lavoro».

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