Cultura e Spettacoli

"Il Covid ci ha insegnato che dobbiamo ripensare il rapporto con l'aria"

L’artista e architetto argentino Tomàs Saraceno ci parla del rapporto tra arte e mondo naturale, con obiettivi che richiamano a una futura società utopica, sostenibile ed ecocompatibile

"Il Covid ci ha insegnato che dobbiamo ripensare il rapporto con l'aria"

Domenica 21 febbraio alle 16, nell’ambito del Festival Internazionale a Ferrara, si discute del ruolo di chi lavora e vive con l’arte, dopo la crisi da Covid-19, nel contesto per lo sviluppo sostenibile del Paese. L’arte può aprire le nostre città e renderle inclusive, fornendo opportunità di educazione e generando nuove forme di turismo di prossimità? Questioni ancora più urgenti per pensare alla ripartenza dopo la lunga chiusura dovuta alla pandemia.

Assieme a Paola Dubini dell’Università Bocconi di Milano, al direttore del Museo Egizio Cristiano Greco e a Florinda Saieva di Farm Cultural Park interverrà l’artista e architetto argentino Tomàs Saraceno, noto per le sue installazioni visionarie che prendono spunto da studi scientifici e sociologici, con obiettivi che richiamano a una futura società utopica, sostenibile ed ecocompatibile.

Abbiamo posto a Saraceno alcune domande.

Quasi esattamente un anno fa, l'ultima mostra che ho visto prima del lockdown è stata la tua, ovvero Aria, a Palazzo Strozzi. Le tematiche dell'interconnessione, della rete sociale, dell'aerocene e della necessità di un maggior rispetto per l'aria e per lo spazio vitale, devo dirlo, hanno risuonato in me amplificate non appena l'emergenza è scattata. Quale è la tua lettura della situazione che stiamo vivendo?

“Aria” metteva in evidenza cose che sembrerebbero non avere conseguenze: pulendo casa nostra dalle ragnatele non succede niente, contaminando l’aria non succede niente. Mi sembra che questo si possa applicare anche a questa pandemia, da quando abbiamo incominciato a capire come mai sia successa. La problematica di base è la stessa, ovvero il nostro rapporto non equilibrato con il pianeta e con le altre forme di vita che lo abitano. Noi spostiamo certe specie dal loro habitat naturale, spesso contaminandolo in modo spietato coi combustibili fossili, e i virus che li abitano contaminano noi, facendo il salto interspecie. Ripensando alla mostra, noi invitavamo tutta la gente a considerare che forse dovremmo condividere casa nostra e lasciare che i ragni vivano assieme a noi; aprire le nostre porte, rendendoci conto che forse la tendenza a piazzare l’uomo al centro di tutto il mondo, che è un concetto molto forte dai tempi dell’umanesimo e del Rinascimento, dovrebbe essere sostituita da una ricerca della condivisione. La convivenza sul pianeta deve essere ripensata in forma più egualitaria.

E va ripensato il rapporto con l’aria: è invisibile, per cui spesso si tende a dimenticare che esiste. La pandemia, purtroppo, ce lo ha ricordato: questo virus vive anche in aria, ed è proprio l’aria il suo vettore; come ci insegna la prossemica, la distanza interpersonale e sociale cambia anche molto tra una cultura e l’altra, il che spiega perché in certi paesi ci si contagi di meno e in altri di più.

Oggi gran parte degli scienziati sono concordi nel ritenere che lo sviluppo della creatività sia fondamentale anche per lo sviluppo delle competenze scientifiche: non a caso, gli artisti vengono assunti dalle grandi compagnie tecnologiche. Tu che sei precursore in questo, ritieni che sia fondamentale il loro inserimento in queste realtà?

Sì e no, tutte e due allo stesso tempo. Credo che l’interdisciplinarietà sia di certo sempre più utile, soprattutto per fornire nuove chiavi di lettura: sembra che la scienza nonostante i suoi progressi non riesca né a interpretare appieno la realtà, né a comunicare le proprie conoscenze. Ma io credo, siccome stiamo vivendo una crisi a livello globale, che dovremmo riuscire a ripensare non solo alla forma della realtà che conosciamo ma anche a produrre una realtà in forma diversa. Prima di conoscere la realtà del nord dell’Argentina pensavo che la transizione migliore si potesse fare con il ricorso all’energia elettrica, come con le auto elettriche. Poi sono stato in questi posti, dove vengono estratti i minerali che occorrono per produrre le batterie. Per estrarre una tonnellata di litio occorrono 2 milioni di litri di acqua, e l’ acqua da quelle parti è molto scarsa. Gli abitanti del luogo, che non sono pochi, lavorano tutta la vita all’estrazione del litio, ma intanto attorno a loro tutta la vita muore. Compresa la loro, perché chi vive lì ad un certo punto non potrà più continuare a farlo; e poi anche tutta la fauna, la vegetazione non ci saranno più. Ecco quindi che bisogna ripensare all’uso dei materiali, trovarne di alternativi, e anche trovare forme alternative di estrazione del litio. Il problema è che qui superiamo l’antropocene, siamo addirittura nel “capitalcene”, ovvero un’idea di consumismo sfrenato che mette veramente il pianeta sempre più a dura prova.
E qui sicuramente la sensibilità di un artista può essere utile, innanzitutto nella percezione del problema, e poi nella maggior facilità di pensiero laterale che può portare a delle soluzioni. L’arte non è solo semplice piacere visuale o anche concettuale, ma è riflessione sociale. È pensare le possibili connessioni tra le cose. Gesti come il nostro, quando abbiamo fatto "Fly with Aerocene Pacha" hanno un valore simbolico, ma noi abbiamo anche stabilito il record mondiale del volo più sostenibile della storia dell’aviazione, da Leonardo Da Vinci ai fratelli Montgolfier o Wright. Sarebbe importante cercare di far sì che la ricerca tecnologica si rivolgesse maggiormente alla realtà sociale e cercasse con maggior decisione soluzioni alternative.

Pensi ci siano i presupposti reali per un abbattimento delle emissioni dei voli, come appare ormai essere alle porte quello relativo alle automobili?

Forse bisogna cambiare la forma di come voliamo. Nell’antropocene voliamo in un modo e magari nell’aerocene si potrebbe volare in una forma diversa, che però implica anche un apprezzamento diverso. Certo, sarebbe bello poter avere aerei a energia solare, ma nell’attesa possiamo provare a cambiare certe abitudini. Io prima della pandemia viaggiavo un sacco, adesso per forza di cose viaggio davvero molto di meno e devo dire che non mi manca, anzi sto decisamete meglio. Le conferenze a cui mi invitavano musei e istituzioni erano tante: e lo sono tuttora, in forma digitale. E io dico: se lo possiamo fare anche in forma digitale perché non farlo? Non c’è davvero bisogno di viaggiare sempre. Ogni tanto sì, fa bene, è bello, ma possiamo veramente ridurre drasticamente i viaggi. Questa credo sia stata la cosa positiva per chi ha avuto la possibilità di adattarsi a questa forma diversa.

Poi, quando fattibile, si potrebbero fare scelte alternative: per fare un esempio, l’ultima volta che mi hanno invitato a Londra ho deciso di non andare in aereo da Berlino, ma in treno. Però mi costava tre volte il costo dell’aereo. L’Unione Europea sovvenziona gli aerei, non i treni. Qui abbiamo una realtà concreta che non funziona, non è possibile che un viaggio in treno costi tre o anche quattro volte più che in aereo. Ecco quindi che la tecnologia da sola non fa niente se non c’è anche la volontà politica di cambiare le cose.

La tua ricerca sui ragni e sulle ragnatele e tutta la filosofia alla base di arachnofilia deriva chiaramente da una passione personale. Mi domando però, restando al mondo degli artropodi, quale sia il tuo pensiero sugli alveari o sui formicai, vedendoci un parallelo con la società umana e spunti interessanti relativi a materiali, socialità, organizzazione, connessione, ingegneria...

In realtà mi preoccupa il fatto che molte volte facciamo dei paralleli tra la nostra forma di vita ed altre, ma da un punto di vista sempre troppo antropocentrico, che alla fine porta inevitabilmente a tentare di regolamentare altre forme di vita. Quindi la questione che mi pongo è: sembrerebbe che si possano imparare molte cose da loro, però dopo dovremmo condividere quello che abbiamo imparato: eppure loro continuano a non avere alcun ritorno da noi.

Per dire, se avessi un ragno a casa (e già il linguaggio e sbagliato… se avessi un ragno “a casa”: diciamo che sono a casa loro come a casa mia) potrei prenderlo e torturarlo, strappargli una zampa, fare un sacco di cose che legalmente sui mammiferi oggi sono proibite. Gli invertebrati costituiscono oggi piu del 97 % di tutti gli animali presenti sul pianeta Terra. Allo stesso tempo, però, proiettare il nostro sistema legale su una forma di vita così diversa dalla nostra è sbagliato. E dovremmo accettare il fatto che sia così diversa. Ti faccio un esempio che sembra crudele: c’è una specie di ragno che accetta che i suoi piccoli, per crescere, salgano tutti sulla sua schiena e lo mangino: quindi quello che mangiano per la prima volta è la madre. Fanno un matricidio, un disastro. Ti rendi conto che non possiamo dettare legge su queste creature dicendo ai loro piccoli che non possono mangiare la madre e interrompere la loro evoluzione? Non possiamo imporre quello che a noi sembra giusto, soprattutto con violenza, e questo vale anche per quello che stiamo facendo con le popolazioni indigene di Salinas Grandes, dicendo loro che bisogna estrarre il litio e contaminare tutto, e così imporsi su di loro e anche su altre forme di vita.

A proposito, ho trovato estremamente poetico il documento "Invertebrate Rights for “Down to Earth”", scritto dai ragni ballerini. Qual è stata la reazione del Gropius Bau al documento? Hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali su come si comporteranno con ulteriori ragnatele dopo quella esposta durante Down to Earth?

Bella questa domanda. Il Gropius Bau ha detto “ok, va bene, perfetto: per la durata della mostra lasciamo che il ragno viva”. Ma quando ho domandato “cosa succederà dopo la mostra, non è che gli tirate una ciabatta?” mi hanno detto che per tutto il tempo che il ragno e la ragnatela resteranno lì vivi non gli succederà niente e gli daranno il permesso di esporre a tempo indeterminato la loro opera d’arte.

Ma solo perché è un ragno artista e la sua un’opera d’arte! Quindi gli altri li fanno fuori?

Noi artisti abbiamo la bacchetta magica.

Non è la prima volta che ti dedichi ai ragni presenti nei musei, ricordo la catalogazione delle ragnatele del Palais de Tokyo del 2018. La tua battaglia contro l'aracnofobia è seria. Hai visto il video di Billie Eilish "You Should see me in a Crown"? Mi domando se pensi possa aiutare le giovani generazioni a virare dalla fobia alla filia.

Ho visto il video, purtroppo solo di sfuggita, devo approfondire per capirne il senso e la simbologia. L’effetto, comunque, potrebbe esserci: una volta ho letto sul giornale che Il 30 % di tutte le persone che vanno al cinema a vedere Spiderman riescono a diminuire per il 30% la loro paura dei ragni: quindi questo film ha giocato un grande cambio di paradigma sulla paura che abbiamo di alcune specie. La cultura, anche quella popolare, può influenzare, questo mi sembra positivo. Guardando le statistiche degli ultimi 100 anni, solo 100 persone sono morte a causa dei ragni. Gli uomini sono più pericolosi, quindi perché avere paura dei ragni?

A proposito di nuove generazioni, loro appaiono da sempre più sensibili alla questione ecologica. Pensi che questa generazione riuscirà a diventare quella di coloro che saranno realmente protagonisti di una svolta tecnologica etica?

Spero di sì. Tutto il movimento attorno a Greta Thunberg ha raggiunto una grande forza, e si tratta dei giovani che chiedono un vero cambiamento. Mi auguro tanto che il loro mezzo principale di comunicazione odierno non venga compromesso definitivamente: prima abbiamo parlato degli effetti nefasti dell’estrazione dei minerali per le batterie, ma ci sono molte altre forme pericolose di estrazione, come quella dei dati personali, che sono stati commercializzati a uso e a favore di monopoli giganti che continuano a promuovere fake news come quella che sostiene che i ragni sono pericolosi... o, più seriamente, che riescono a influenzare fortemente l’elezione di un presidente in America, o anche in Italia come è accaduto un paio di anni fa. Occorre più cautela con la dipendenza da certe tecnologie, più attenzione nel condividere le informazioni con queste forme politiche di controllo che non sono mai state elette, ma che i governi di oggi non riescono a controllare. Allora io voto a favore di quello che sta succedendo in Australia, che ha reagito imponendo ai social network di compensare gli editori per le notizie ospitate dalle loro pagine, portando all’oscuramento delle notizie australiane in tutto il mondo. Io non faccio lavori artistici su questo, ma speriamo nei giovani; e speriamo che riescano a confrontarsi su delle piattaforme più etiche.

E che opinione hai invece, mi viene da pensare, del piano sistematico del governo australiano relativo allo sterminio di gatti nel loro continente? Il gatto di fatto è specie invasiva e pare abbia portato in Australia all’estinzione di 22 specie di mammiferi, oltre a minacciare la fauna che preda, ma al contempo è un animale d’affezione particolarmente caro all’uomo.

Sono questioni difficili. Si tratta di quello che dicevo prima sui diritti, su come questi diritti sono proiettati su sistemi e forme di vita che sono diverse dagli umani, che hanno un equilibrio diverso, così come anche gli indigeni hanno un equilibrio diverso rispetto ad altre culture. Ma va detto che gli indigeni, come gli aborigeni australiani, hanno certamente un approccio migliore riguardo alla convivenza tra specie diverse. I ragni vivono sul Pianeta da 300 milioni di anni e gli uomini da 200/300mila anni: mille volte meno. E i biologi dicono che per saper vivere in un posto si debba per lo meno averci vissuto 2 milioni di anni. I primi gatti sono sulla terra da un periodo che si avvicina a due milioni di anni: ancora abbiamo l’arroganza di parlare dei gatti e di cercare di imporre una certa forma di organizzazione sociale su delle specie che generalmente hanno una conoscenza maggiore del nostro pianeta?

Situazione emergenziale permettendo: quali sono i tuoi progetti più prossimi?

Sto lavorando per un progetto di una mostra, a gennaio 2022, a The Shed, un bellissimo centro culturale a New York, curata da Emma Enderby. Sempre nel 2022 sarò alla Serpentine Gallery di Londra, con Hans Obrist. E poi in Nuova Zelanda. Forse quest’anno, sarebbe un sogno e speriamo vada avanti, farò qualcosa in un posto fantastico in sud Italia a giugno.

Il progetto personale, invece, è quello di vivere sempre più nell’aerocene!

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