Cultura e Spettacoli

Djian, se il romanzo deve stupire

Lo scrittore francese non crede che la letteratura debba raccontare la realtà, né salvarci. Ma solo sorprendere

Djian, se il romanzo deve stupire

Oh... È tornato.
Philippe Djian, lo scrittore «contro» più «in» che ci sia, l'immoralista che si fa beffe di tutti i moralismi, autore culto dei lettori «poco per bene», è tornato. È over 60, scrive da moltissimi anni, ha un grande successo da pochi, ma da quando ce l'ha, esce con un titolo all'anno. E ora, come tutti gli anni, è tornato.
Lo scrittore più americano di Francia, che se dovessimo accostare a un pittore penseremmo a Balthus, il più tedesco dei pittori francesi, ha fatto il botto con 37°2 al mattino, uscito in Francia nel 1985 - da cui il film Betty Blue di Jean-Jacques Beineix - e arrivato in Italia da Voland, nel 2010, subito dopo Imperdonabili (2009). Poi, in sequenza, da noi sono apparsi Incidenze (2010), Vendette (2011), Assassini (2012) e, ora, con un progressivo accorciamento del titolo, Oh... (sempre Voland), vincitore in Francia del premio «Interallié»: storia d'amore e famigliare, violenta e ambigua, che scorre lungo trenta giorni della vita di Michèle, produttrice cinematografica di successo, ma non altrettanto come madre, figlia e moglie. Tra ricordi, sesso e morte. Michèle è stata violentata da uno sconosciuto, tornando a casa una sera, e il romanzo inizia con lei che si sveglia, con una guancia graffiata. Non sa cos'è successo, perché si è ritrovata a terra. È la metafora della nostra società? Che si è svegliata di colpo, conciata male, senza sapere come ha fatto a ridursi così... Come molti (tutti?) i romanzi di Philippe Djian, Oh... è il racconto-ritratto di un mondo che non merita salvezza. Anche se la donna stuprata, saprà rialzarsi.

Parigino senza patria, padre di origini ebraiche nato in Algeria, madre di famiglia tradizionalista cattolica, lui in perenne trasloco fra Boston, Firenze, Biarritz e Parigi, Djian, che ha iniziato (se non è una leggenda) come magazziniere alla casa editrice Gallimard, dice di non voler fare sociologia, né politica, coi suoi romanzi. Convinto del primato del linguaggio sulla storia («Il motore delle storie è lo stile. La via principale di un romanzo è la lingua»), non crede neppure che l'arte sia un modo per scampare alla mortalità e al dolore. «Non scrivo per essere salvato». E non scrive neppure per raccontare la realtà (altro è il compito della letteratura). Forse allora Djian scrive solo per realizzare quello che deve fare la scrittura. Stupire. Oh..

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