Cultura e Spettacoli

Ecco il premio più strano del mondo

Proprio in questi giorni la giuria sta votando il libro preferito

«Siamo nella categoria dei miracoli: tutto quello che è accaduto a questo romanzo poteva anche non succedere. L'ultimo ballo di Charlot (Sellerio) è stato un caso incredibile ancora prima di uscire: un talent scout di Francoforte se ne è innamorato, in Germania hanno fatto un'asta per averlo, ora è in traduzione in 14 Paesi. A nessuno dei miei libri precedenti era mai accaduta una cosa del genere. Per me è il debutto in qualcosa che mai avrei immaginato: in due settimane, tanto ci ha messo Sellerio per decidere di pubblicarlo, mi è successo quello che non era successo in vent'anni». Quello di Fabio Stassi, classe 1962, è il meno anomalo dei nomi, o forse potremmo dire dei “casi”, selezionati per la finale del Premio Campiello, tanto è vero che la maggioranza dei «colleghi» della cinquina lo danno per vincente. In fondo ha pur sempre quattro romanzi alle spalle, di cui tre con minimum fax, anche se nessuno può paragonarsi, per successo e stile, a questa romanzo biografico epistolare del più famoso attore del Novecento. Gli altri candidati della cinquina - il vincitore sarà reso noto alla Fenice nella soirée del 7 settembre anche questa con due conduttori “inediti” per il Campiello, Geppi Cucciari e Neri Marcoré - hanno tutti, ciascuno a suo modo, una peculiarità che rende questa XXX edizione del Premio di Confindustria Veneto davvero anomalo nel quadro letterario italiano.
A partire dalla decisione di confermare tra i candidati Ugo Riccarelli, scomparso il 9 luglio scorso, dunque poco più di un mese dopo essere stato selezionato con L'amore graffia il mondo (Mondadori), con il conforto del regolamento, il cui articolo 4 prescrive che possono concorrere al Premio le opere di narrativa italiana pubblicate per la prima volta in volume nel periodo 1 maggio 2012 - 30 aprile 2013, i cui Autori risultino viventi alla data della riunione di Selezione della cinquina finalista, riunione che si è svolta il 31 maggio scorso a Padova: «Il libro rimane in concorso», ha dichiarato per l'occasione il presidente della Fondazione Piero Luxardo. «È l'opera narrativa, non l'autore, che sottoponiamo alla Giuria dei 300 Lettori».

Altrettanto anomala la scelta di includere in cinquina un'opera che, come ha sottolineato il membro della Giuria dei Letterati Riccardo Calimani appunto a Padova, forse non è nemmeno di narrativa, oltre ad essere firmata da un poeta e non da un romanziere, ovvero Geologia di un padre (Einaudi) di Valerio Magrelli. «Le chiamo prose e ho iniziato a scriverle molto tardi e per scommessa: Celati me ne chiese due come racconti e io gli dissi “Sei matto, non ho mai scritto niente del genere”. E ho scoperto questa possibilità “anfibia”, che uso anche in Geologia di un padre, in cui ogni tanto un capitolo è una poesia e la prefazione è muta, con disegni di mio padre. Non si dice mai “licenza prosastica”: qui io trasferisco in prosa la licenza poetica. È un'opera di autofinzione e insieme un iconotesto, ma il lettore non si spaventi: più semplicemente, sono storie rielaborate della mia vita con dei disegni. Un libro atipico? È il migliore dei complimenti».

In una lista di candidati in cui comparivano tra gli altri nomi stra-noti - come Diego De Silva, Paolo Giordano, Mauro Corona, Mauro Covacich, Paola Mastrocola- anche la scelta di Giovanni Cocco con La caduta (Nutrimenti) e di Beatrice Masini con Tentativi di botanica degli affetti (Bompiani) è quantomeno bizzarra e si può spiegare nella dichiarazione programmatica. Si tratta di un esordiente assoluto (tanto che all'inizio era candidato all'Opera prima) e di una esordiente nella narrativa per adulti. «Sono partito dal top, rimarrò all'altezza?», commenta Cocco. «Dodici serate con 300 persone davanti, accanto a Magrelli che studiavo a scuola, 60 recensioni positive tra cui le grandi firme, preso nel catalogo Rowohlt tedesco insieme a Eco e Calvino: come mai mi ha pubblicato Nutrimenti e ho preso rifiuti dai grandi editori che invece ora mi vogliono? Forse perché i grandi vecchi come Brioschi, Rollo, Franchini, la Sgarbi stanno sparendo e se non hai almeno 40 anni non sai valutare un esordio perché non hai letto abbastanza. Senza contare che non sono mai stato spinto dai guru progressisti, visto che mi dichiaro cattolico e si tende a isolarmi. La narrativa italiana della mia generazione? Va rottamata, sono onanisti letterari». E Beatrice Masini chiosa: «Una sorta di vertigine: per me il Campiello è una leggenda. Quindi esordire e trovarsi lì è stato come trovarsi su una giostra. Gli ultimi anni sono stati di proprietà degli esordienti “giovani e carini”.

Ma io e Cocco siamo diversi, perché sebbene esordienti, abbiamo comunque alle spalle anni di scrittura».

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