Cultura e Spettacoli

Ercole de' Roberti, le verità segrete

Costruì una mirabile sintesi fra pittura e architettura, e così entra di diritto nel cielo più alto dell'arte del '400

La Pala di Santa Maria in Porto di Ercole de' Roberti
La Pala di Santa Maria in Porto di Ercole de' Roberti

La scuola ferrarese ha il suo più grande maestro in un pittore che esce giovanissimo dal vivace e popoloso cantiere di Schifanoia. Benché nell'orbita di Francesco del Cossa, il giovane Ercole de' Roberti, cui si deve il sulfureo Mese di settembre , continua a guardare con passione e convinzione Cosmè Tura. E quando, a partire dal 1470, segue il Cossa a Bologna e collabora con lui al polittico Griffoni (1472-1473), nelle predelle dei diversi nastrini mostra pura euforia plastica piuttosto che il piacere narrativo del Cossa. Quando torna a Ferrara, nel 1479, Cossa è morto ed Ercole è pronto per comporre il suo capolavoro: la Pala Portuense per la chiesa di Santa Maria in Porto a Ravenna. Qui, veramente, mostra una maturità che è una sintesi di tutte le componenti della pittura ferrarese, a partire da quella, sotterranea ma stabile in ogni suo principio razionale, che fa capo a Piero della Francesca, certamente conosciuto da Ercole per i suoi dipinti perduti in Castello Estense, e di cui conserva tutta la solennità.

La pala, come per una liturgia, vede la Madonna con il Bambino al centro di un tempietto, un'aerea loggia contenente un trono che non ha l'uguale e che, come in una macchina teatrale, sostiene ed esibisce la Madonna con il Bambino tra Sant'Anna e Santa Elisabetta. Ovunque, nel basamento come nel dossale del trono, mirabili bassorilievi di marmo appiattiti contro un fondo oro, memori della grande scultura dell'Amadeo. Tale sensibilità plastica è confermata dall'affinità tra questi finti rilievi e l'arco dei Martiri Persiani del duomo di Cremona, fra i capolavori della scuola dell'Amadeo. Tra il basamento del trono e il piano dove poggiano le tre donne vi è un'apertura sul paesaggio, cadenzata da pilastrini che ritagliano almeno due romantiche vedute. Pensosi, e compresi nel privilegio di essere presenti, sono i due santi a terra, che articolano su più piani la solenne architettura e fanno anch'essi parte della mirabile armonia tra architettura e figura di cui il precedente più notevole e, forse, noto è la Pala di Santa Lucia de' Magnoli di Domenico Veneziano. Ma neanch'essa, nella sua luminosità, ha la misteriosa intensità della Pala Portuense , che, pur nella luce tersa, è più numinosa che luminosa.

Vi si avverte una verità segreta, arcana, soprattutto nella configurazione del gruppo superiore con l'intuizione dei panneggi rossi che integrano l'architettura. Anche il confronto con la scultura, e in particolare con Nicolò dell'Arca, è evidente nel polittico Griffoni, con la sua apocalisse formale, e negli affreschi in gran parte perduti della Cappella Gargamelli in San Pietro a Bologna, dove si compone in un ritmo nuovo di straordinario e irraggiungibile equilibrio.

Con tale visione, Ercole ci pone nel cielo più alto della pittura del Quattrocento, senza temere il confronto non solo con Signorelli o Perugino, ma neppure con Botticelli e Leonardo.

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