Cultura e Spettacoli

Eroina, musa e moglie La vita di Zelda (in quattro romanzi)

Storia vera di una icona

La vita di Zelda Fitzgerald, la moglie inquieta dell'autore del Grande Gatsby, fornisce materiale letterario a sufficienza per riempire almeno quattro romanzi, ha scritto tempo fa Peter Beaumont su The Observer. E ora sono stati scritti.
Bella di una sua bellezza cinematografica, ossessionata dalla danza, schizofrenica, femminile, femminista e maschietta, Zelda, che visse quarantotto anni (1900-1948), fu all'epoca la musa di Scott («tu con i tuoi problemi di cuore, io con i miei problemi di testa. Ma insieme potremo fare qualcosa di buono»), e oggi di molti romanzieri. «Zelda non è un personaggio di Francis Scott Fitzgerald, eppure è la sua più grande eroina», è il concept di Thérèse Anne Fowler, scrittrice e insegnante di Creative Writing all'Università del North Carolina, che nel romanzo Zelda (appena uscito da Frassinelli) fa raccontare alla protagonista, in un'immaginaria prima persona narrativa, la propria vita, da quella sera del 1918 alla festa da ballo in una grande villa del Sud in cui lei, diciassettenne, vede per la prima volta il tenente Fitzgerald, che la incanta, sino alla tomba che ancora oggi li unisce, sotto la lapide più famosa della letteratura al St. Mary's Catholic Cemetery di Rockville, nel Maryland, che porta scolpita l'ultima frase del Grande Gatsby: «So we beat on, boats against the current, borne back ceaselessly into the past», «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».
Alcol, successi, cadute, fallimenti, fortune, tradimenti, gelosie, invidie professionali, problemi mentali. Facile scriverci un romanzo, su una vita da romanzo. In pochi mesi, a cavallo dell'uscita del film Il grande Gatsby di Baz Luhrmann con Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan, negli Stati Uniti la «zeldamania» ha prodotto altre tre biografie romanzate, finora non ancora tradotte in Italia: Beatuful Fools di R. Clifton Spargo, sulla fuga-viaggio a Cuba nel '33 dei Fitzgerald: «ma anche in paradiso, Scott e Zelda non possono evitare la potenza distruttrice del loro rapporto». Poi Call Me Zelda di Erika Robuck, sui giorni del 1932 in cui Zelda è ricoverata nella clinica psichiatrica di Baltimora dove, vacillando fra lucidità e pazzia - attraverso il rapporto di amicizia con l'infermiera Anna Howard - si tormenta per trovare una «identità» separata da quella del marito, il “celebre scrittore”, riuscendo a completare il suo unico romanzo Save Me the Waltz (Lasciami l'ultimo valzer). Infine Guests on Earth di Lee Smith, dove una ragazzina tredicenne, pianista prodigio che partecipa all'innovativo programma medico per curare le malattie mentali del dottor Robert S. Carroll all'Highland Hospital di Asheville, nel North Carolina, racconta il suo rapporto con la paziente più illustre della clinica, Zelda, fino al misterioso incendio che ucciderà la scrittrice, insieme ad altre otto donne, nel 1948.
Erano il re e la regina dell'Età del jazz. Diventarono l'ubriacone e la pazza della Grande Depressione.
Per alcuni critici americani, è proprio questo uno dei motivi del revival di interesse per i Fitzgerald, oltre naturalmente al kolossal di Luhrmann. E cioè che i tempi attuali, di forte crisi economica e smarrimento sociale dopo un periodo finanziariamente scintillante come furono gli anni fra gli Ottanta e il 2000 - dalla prosperità al collasso - sono paurosamente, realisticamente molto simili a quelli di Scott e di Zelda. Che però, e questo ai lettori piace molto, seppero amarsi fino all'ultimo.

Nonostante tutto.

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