Cultura e Spettacoli

Gli esuli in Australia: Amedeo Sala

Scappò nel '43, ma amava ricordare: "Fu sul campanile e sulla mia casa, che a Zara sventolò per l’ultima volta la bandiera italiana"

Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati
Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati

Padre raguseo, madre di Lissa, Amedeo nacque a Trieste nel 1927. Dopo la morte del papà, già capoufficio all’Ufficio del Registro di Aidussina, era stato accolto a Spoleto dal Collegio per gli orfani di Stato. Ritornò a Zara nel 1942, dove la sua famiglia abitava a fianco del campanile del Duomo, in una casa che non c’è più. Ora da lì s’allarga una piazza - spiega. Di quel tempo è rimasto solo un buco nel campanile, segno del punto dove poggiava l’architrave della sua casa. Va ricordato che fu sul campanile e sulla mia casa, che a Zara sventolò per l’ultima volta la bandiera italiana - ci tiene a sottolineare.

L’inizio del suo esodo coincise con quella che era iniziata come una giornata di festa. Il 28 novembre del ‘43 era una domenica bellissima, chiara con il cielo blu, stupenda. Era il compleanno di mia sorella, compiva vent’anni - ricorda. Per l’occasione la mamma aveva preparato la torta e aveva cominciato a fare il sugo per la pasta, quando incominciarono a bombardare la città. Gli aerei erano arrivati su Zara a motori spenti per non essere intercettati, e rovesciarono il loro carico di bombe in due riprese. I Sala ripararono nell’adiacente rifugio, sotto il campanile. Mentre era in corso la seconda incursione, la mamma ricordatasi del sugo rimasto sul fuoco, avrebbe voluto che il figlio rincasasse per rimediare. Questa è la mentalità dalmata - scherza Amedeo, che naturalmente evitò di obbedire. Una volta ritornati a casa, come previsto poterono mangiare solo la torta. In fretta raccolsero un po’ di cose per scappare via. La Calle Larga era stata bloccata dalle macerie e allora scegliemmo di passare per il porto. C’era una nave che stava affondando; la sirena, inceppata, continuava a suonare come un lamento. Intorno galleggiavano corpi e pesci morti. Attraversammo un piccolo parco dove c’era la giostra per i bambini: era stata centrata e dappertutto si vedevano corpicini mutilati - la triste ricostruzione di quel percorso. Arrivarono in campagna, a dieci chilometri dalla città. Vissero in una scuola, finchè non arrivò notizia della possibilità di imbarcarsi sul Sansego, per Trieste. Con lui la mamma, la nonna, la sorella e il fratello più piccolo. Una notte rimasta scolpita nella memoria, quella della partenza. Ormai avevano capito che non ci sarebbe più stato ritorno. Attraversarono Zara, l’oscurità fredda e appena rigata da un filo di luna. I profili delle macerie affiancavano il loro cammino sulla strada verso il porto. La loro casa era andata bruciata.

Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati
Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati

All’imbarco li fecero indossare i giubbotti di salvataggio - c’era sempre il pericolo dei sottomarini - poi scesero nella stiva, dove rimasero trepidanti fino all’arrivo a Trieste. Avevano portato appresso solo una ruota di pane - tipica forma dalmata di pane - e qualche misero soldo. A Trieste andammo dapprima da una zia ricchissima. Dal momento però che la gente ricca non aveva voglia di parenti poveri e disperati, ci spostammo in campagna verso Aurisina, vicino alle foci del Timavo - il racconto di Amedeo - da una famiglia slovena, quella della domestica di mia zia. Ma non era un posto sicuro, causa i continui rastrellamenti da parte di formazioni di tutti i “colori”.

Pensò fosse meglio mimetizzarsi nella confusione della città. Tornò a Trieste, dove andò a vivere presso uno zio in via Tor San Lorenzo. Fu inutile. Dapprima prelevato dai tedeschi e mandato a costruire trincee di difesa contro gli alleati, venne poi fermato dai titini - nel frattempo arrivati a Trieste - e assegnato alla guardia popolare. Finita la guerra e dopo tante alterne vicende subite, pensò fosse il caso di raggiungere la famiglia, nel frattempo trasferitasi in Valsugana a Carpanè-Valstagna: due frazioni di un unico paese diviso dal Brenta. Una strada, un macellaio, una farmacia, un panettiere; da una parte c’erano i negozi, dall’altra la stazione. Là viveva una colonia di Zaratini, richiamati a catena l’uno dall’altro. Come spesso capitava, noi profughi non eravamo benvisti, perchè giudicati fascisti fuggiti dal comunismo di Tito - il suo commento.

In quel paesino Amedeo doveva incontrare la donna della sua vita: Lidia Pavcovich, arrivata da Trau, dove il padre era stato direttore dell’agenzia del Lloyd Triestino e dov’era nata e cresciuta. Fino al 43, allorchè ragazzina giovane e spensierata di 14 anni dovette precipitosamente abbandonare la sua casa.

(…)

Da Carpanè lui con la famiglia si spostò nel campo profughi di Mantova. Potè continuare gli studi solo grazie ai suoi brillanti risultati scolastici, che gli permettevano di accedere alle borse di studio. La miseria era assoluta. Non si poteva neanche andare al cinema, se si trovava una sigaretta la fumavamo in venti; a me riservavo il mozzicone finale - racconta.

Mentre l’Italia era in subbuglio per l’attentato a Togliatti, la sorella di Amedeo morì per tubercolosi. Le sue ultime parole furono: non voglio morire. Sconvolto, in quel momento lui decise di andar via dall’Italia; per procurare ai miei figli una patria più generosa - precisa. Volle andare in cerca di un paese più fortunato dell’Italia e, guarda caso, l’Australia è chiamata “the lucky country” - il paese fortunato. Senza completare gli studi - era quasi agli esami finali - partì. Voleva far presto a conquistare una posizione, per potersi far raggiungere quanto prima da Lidia, con cui era sempre in contatto e con cui laggiù voleva metter su famiglia. Aveva 23 anni.

Dopo il solito girovagare per i campi IRO, alla fine di settembre del 1950 partì da Bremenhaven. Salpò sulla General H. C. Muir, una libertyship già usata per il trasporto truppe americane, molto simile probabilmente alle imbarcazioni con cui a suo tempo avevano trasportato gli schiavi in America - osserva Sala. Durante la traversata li fecero lavorare; dovettero riverniciare tutta la nave. Alcuni giorni prima di arrivare a Melbourne, si presentarono dei problemi con l’acqua potabile, che improvvisamente smise di uscire dai rubinetti. Venne scoperto un cadavere - di un uomo peraltro rimasto sconosciuto - nei serbatoi dell’acqua. Forse il liquido fu infettato da quella presenza - non lo si è mai appurato - fatto si è, che Sala venne afflitto da terribili infezioni cutanee. Trattenuto in osservazione, al momento dello sbarco poté scendere a terra per ultimo, realizzando con somma contrarietà che durante il ricovero era stato derubato del contenuto della sua valigia rimasta nel camerone, e perfino della stecca di sigarette che aveva ricevuto in regalo. La mattina dell’arrivo faceva freddo, pioveva e tirava vento. Com’è solito ripetere Sala, era il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma. Se il duce non avesse marciato su Roma, probabilmente io non avrei marciato su Melbourne.

Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati
Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati

L’unico suo corredo era quanto portava addosso: un paio di calzoni corti, una canottiera, un paio di sandali. A Bonegilla, la sua prima destinazione, trovò nella spazzatura un paio di pantaloni dismessi. Li lavò e furono il suo primo indumento australiano. Il campo era pieno di profughi di ogni parte del mondo, una babele in terra australiana. La capienza nelle baracche si dimostrò talmente insufficiente che si dovettero montare le tende.

Amedeo Sala con i pantaloni raccolti nella spazzatura a Bonegilla, dopo essere stato derubato
Amedeo Sala con i pantaloni raccolti nella spazzatura a Bonegilla, dopo esser stato derubato dei pochi averi durante il ricovero nell’infermeria sulla nave

Iniziai la vita in Australia ad un livello finanziario inesistente - sottolinea - e di questo sono orgoglioso, perché è bello ricordare di avere cominciato da niente e di avere fatto qualche cosa nella vita, senza l’aiuto di nessuno. A quel tempo, quello che mi ha salvato è stata la gioventù. Anche Lidia, che proveniva da una famiglia ricchissima, condivide con me questo concetto.

Dopo due mesi a Bonegilla venne selezionato per andare a lavorare a Numurkah, al nord. C’erano in costruzione degli acquedotti, per l’irrigazione delle fattorie, di cui erano beneficiari i reduci di guerra. Naturalmente i reduci scoprirono che era più facile trasformare aratri in cannoni che cannoni in aratri. Non avevano nessuna esperienza, i conigli mangiavano tutto, loro non avevano voglia di lavorare e finirono per andarsene. Rilevate in seguito da emigranti italiani e sapientemente gestite, le fattorie diedero raccolti e guadagni.

Tornato a Melbourne, Amedeo fu convocato per un colloquio all’ufficio emigrazione, dove si complimentarono con lui per la discreta acquisizione conseguita della lingua inglese e gli assegnarono il successivo lavoro a Werribee, nelle fognature di Melbourne.

Amedeo Sala: primo lavoro nelle fognature di Melbourne
Amedeo Sala: primo lavoro nelle fognature di Melbourne

Notato un giorno alla mensa un avviso di richiesta per un “powder monkey” - letteralmente scimmia della polvere - scoprì che cercavano un artificiere. Forte della sua passata esperienza al tempo della costruzione delle trincee, ebbe l’incarico. Si trattava di pulire una polveriera, dove la dinamite depositata ancora al tempo della guerra boera aveva fatto colare la nitroglicerina sul pavimento. Accettò per sfida, anche con se stesso, ma con tanta paura addosso. Dopo attenti calcoli ragionati, aiutandosi con molta segatura, riuscì a raccogliere gli oltre 100 chili di dinamite. Caricati su di un furgoncino, riuscì a farli esplodere su di una spiaggia deserta.

Dopo quell’esperienza, si trasferì nel centro minerario di Kalgoorlie, dove si ricordò vivere zia Caterina, una sorella di sua madre, sposata ad uno jugoslavo e approdata in Australia poco dopo la prima guerra mondiale, al tempo della corsa all’oro. Proprio al suo arrivo la zia venne a mancare. Dopo una breve parentesi come minatore, Amedeo raggiunse a Perth una cugina. Grazie alla sua confidenza con un po’ di elettronica, cominciò una fattiva collaborazione con Mr. Rogers, uno scozzese che credeva nell’affermazione della tecnologia. La reciproca stima sul piano professionale divenne anche amicizia, cosicchè Mr. Rogers e sua moglie risolsero i problemi abitativi di Amedeo, ospitandolo nella loro casa. Abitavano in campagna; lui dava una mano a completare la costruzione della casa e si occupava di Blondee, la mucca che mungeva ogni giorno.

Erano passati due anni dal suo arrivo e decise che fosse tempo di farsi raggiungere da Lidia, con cui si sposò per procura.

(…)

Da allora hanno camminato insieme, condividendo la soddisfazione per tutte le gratificanti tappe professionali che hanno contrassegnato la carriera di Amedeo Sala. Completati i suoi studi nel settore matematico, egli si specializzò nel campo informatico e della multimedialità, divenendo il padre della tecnologia in Australia. Vi introdusse l’uso del computer per applicazioni di ingegneria civile durante la già ricordata progettazione del rinnovamento di Perth. Per la sua qualificata esperienza, fu tra i collaboratori della NASA che seguirono le fasi dello sbarco dell’uomo sulla luna. Ritiene di essere stato l’unico componente italiano a partecipare alla realizzazione di quello storico appuntamento e ne va giustamente orgoglioso.

 Sala collaboratore NASA nello sbarco dell’uomo sulla luna
Sala collaboratore NASA nello sbarco dell’uomo sulla luna

Il progetto spaziale trasferì la famiglia Sala, nel frattempo accresciutasi di quattro figli, alla latitudine tropicale di Carnarvon. Seguì il rientro a Perth e la collaborazione con il locale Ateneo, in qualità di direttore del Centro Meccanografico. Successivamente, su consiglio di uno dei ricercatori di fama internazionale con cui Amedeo ebbe modo di entrare in contatto e che aveva molto apprezzato le sue invenzioni, avviò un’attività propria che ancora continua. Opera nell’ambito della ricerca e dell’elaborazione di tecniche innovative per l’industria. I suoi brevetti nel campo dell’elettronica spaziano dalle apparecchiature crittografiche ai sistemi urbani di protezione antincendio, attualmente in uso nelle principali città australiane.

Per i suoi meriti di applicazione dell’alta tecnologia al mondo industriale gli è stata conferita la commenda dell’Ordine d’Australia, uno dei più alti riconoscimenti nazionali.

Nell’autorevole laboratorio di ricerca nel centro di Perth, i figli portano avanti impresa e successi. Amedeo continua ad apportare il suo contributo, ma si dedica con speciale coinvolgimento ad un lavoro di ricerca storica sui Dalmati. Sorprendentemente ha trovato in Australia un consistente quantitativo di manoscritti e documenti originali sul tema. Il suo interesse è particolarmente indirizzato al ritrovamento della nave Stefano. Era un veliero fiumano della Marina austro-ungarica, con equipaggio dalmata che parlava italiano, naufragato lungo le coste dell’Australia occidentale nel 1875.

Le ricerche sovvenzionate da Sala hanno portato al recupero della campana di bordo, le cui operazioni di ripristino sono state seguite dal Marittime Museum di Perth, dove il reperto è esposto.

Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati
Il campo di Bonegilla nel Victoria dove venivano accolti gli emigrati

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