Cultura e Spettacoli

Le fobie erotiche dei censori Ecco le sforbiciate del '900

Quei romanzi finiti nel mirino. La pratica di sbianchettare (o bloccare) i libri nell'Italia contemporanea. Più che le idee politiche, nel mirino sono finite le pagine di sesso esplicito. Nel 1962 Feltrinelli vendeva sottobanco "Tropico del Cancro"

Le fobie erotiche dei censori Ecco le sforbiciate del '900

Curzio Malaparte, o meglio Kurt Erich Suckert, nel 1921, quando in Italia persisteva il mito della Grande Guerra vittoriosa, fu costretto a cambiare il titolo di Viva Caporetto!, diventato La rivolta dei santi maledetti, per temperare davanti all'Italietta borghese la scandalosa demitizzazione della retorica patriottica del suo pamphlet. Elio Vittorini, invece, al di là delle ipocrisie ideologiche, per Il garofano rosso, uscito a puntate su Solaria negli anni Trenta (e in volume nel 1948) dovette subire le critiche accademiche e le attenzioni dei censori fascisti non per i contenuti politici del romanzo, ma per le tematiche erotiche... Mentre Tropico del Cancro di Henry Miller, pubblicato nel 1934 a Parigi (e tradotto anche in giapponese e in ceco già nel '39) in Italia, in quanto romanzo offensivo al «buon costume», non potè vedere la luce ufficialmente fino al 1967. Anche se la Feltrinelli, che lo aveva fatto tradurre da Luciano Bianciardi e che dichiarò di averlo fatto stampare in Francia per aggirare la censura, lo vendeva sottobanco dal '62.

Come scrisse Giovanni Testori, quando nel 1960 finì a processo per L'Arialda: «Nella triste storia della censura sempre i giudici, se fossero vissuti abbastanza a lungo, avrebbero avuto modo di pentirsi della loro fretta. Non crediamo sia presunzione da parte nostra prevedere che, nel caso presente, avremo ragione senza dover attender a lungo». E infatti, l'anno dopo, la scandalosa pièce andò in scena. Ogni regola ha le sue eccezioni: sotto il fascismo, quando si vietò ogni «americanismo» culturale, Arnoldo Mondadori ottenne da Alessandro Pavolini una «deroga» per Topolino. Di solito, però, le cose vanno in altro modo.

Tagli, sequestri, censure, divieti. Difficile la vita degli intellettuali. Anche italiani. Anche nel recente passato. E infatti proprio al nostro Novecento, periodo finora sfuggito a un'approfondita analisi accademica delle censure editoriali, è dedicato Inchiostro proibito, il paper realizzato dagli studenti del master in Editoria dell'Università di Pavia, coordinati da Roberto Cicala che ne firma l'introduzione (edizioni Santa Caterina). Insomma, il rogo dei libri, metaforico o materiale che sia, non appartiene solo ai secoli bui (e comunque se c'è un'epoca che brillò in tal senso, quella fu l'Illuminismo, a partire dall'Encyclopédie, che il governo francese voleva sequestrare e la Chiesa pose all'Indice), ma tocca scandalosamente anche l'Italia contemporanea, dal Mafarka di Filippo Tommaso Marinetti ad Aldo Busi. Milena Milani, nel 1964 (!), per La ragazza di nome Giulio, romanzo «sui grandi misteri del corpo e dell'anima femminile», fu condannata - in primo grado - a sei mesi di prigione per oltraggio al pudore. La stessa accusa che colpì, in tempi e con conseguenze diverse, Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini (1955), Porci con le ali di Rocco e Antonia (cioè Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, 1976) e Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (1988)... Censure in corpo 11.

Non c'è nulla che faccia più male dell'inchiostro, neppure la lingua - verba volant - e neppure la spada. Lo sanno bene poeti, romanzieri e filosofi. E lo sanno altrettanto bene sovrani, chiese e dittatori. I libri sono pericolosissimi: possono abbattere un trono meglio di un esercito, rovesciare un regime più velocemente di una rivoluzione, demolire una fede più definitivamente di un'eresia. Non a caso, la storia della censura e dei roghi è lunghissima: inizia ben prima dell'invenzione della stampa (Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina, nel 213 a.C. fece bruciare tutti i testi precedenti il suo insediamento, per eliminare ogni traccia che potesse minacciare il proprio potere). E non è ancora finita, arricchendosi di nuovi capitoli anno dopo anno. Come nel 2007, quando Ariel Toaff e la casa editrice il Mulino, sotto la pressione delle comunità ebraiche, furono costretti a ritirare e ristampare «purgato» il saggio Pasque di sangue, che offriva una base storica alla millenaria accusa rivolta a Israele di compiere omicidi rituali. O come nel 2011, quando il Tribunale di Milano mandò al macero il libro Falce e carrello in cui il patron di Esselunga Bernardo Caprotti denunciava le posizioni privilegiate delle Coop nelle regioni rosse.

Visto, non si stampi.

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