Cultura e Spettacoli

Gloria e tramonto di una destra sempre alla ricerca di un ruolo

Patrimonio postfascista conteso tra gli ex missini rimasti in Forza Italia o passati in Fratelli d’Italia. La base è invece sparpagliata fra la Lega, le sigle dei movimenti civici di destra e quelli identitari come Casa Pound

Gloria e tramonto di una destra  sempre alla ricerca di un ruolo

Il patrimonio dei postfascisti, non solo elettorale, se lo contendono gli ex missini rimasti in Forza Italia e quelli passati in Fratelli d’Italia. Ma la base che un tempo votava il partito di Giorgio Almirante la ritroviamo, nel segreto dell’urna e non solo, sparpagliata fra la Lega Nord, le sigle dei movimenti civici di destra e quelli identitari come Casa Pound. Perfino nella protesta antisistema dei Cinque stelle.

Bacino elettorale a parte - oltre al “tesoretto” conservato nella Fondazione Alleanza nazionale, appetibile alla sterminata galassia di sigle presenti a destra - in pochi conoscono ancora la storia del Movimento sociale italiano nato dalle ceneri del fascismo. Solo da un po’ di anni, dopo lo “sdoganamento” di Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini, il mondo della destra ha cominciato ad essere esplorato e raccontato nei libri di storia. È il caso del volume “Trieste a destra. Viaggio nelle idee diventate azione lontano da Roma” (edizioni Trieste stampa - Il Murice, pagg. 490 di cui 48 fotografiche) appena uscito con una nuova edizione ampliata. Un lavoro del giornalista Pietro Comelli e del ricercatore Andrea Vezzà, che può contare anche sulla prefazione dello “storico delle destre” Giuseppe Parlato, docente di Storia contemporanea all’Università Internazionale di Roma e presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. È un viaggio nella destra italiana, vista da Trieste, dalle origini del Movimento sociale alla svolta di Alleanza nazionale, dalla fusione nel Popolo delle libertà fino alla diaspora postfascista. La storia mai scritta di un ambiente politico e umano complesso - come del resto Trieste - che inizia proprio dal primo dopoguerra con la fondazione del Msi, quando la città “cara al cuore degli italiani” era sotto il controllo del Governo militare alleato, prosegue con la svolta di Fiuggi e la nascita di An capace di traghettare il partito della “Fiamma” fuori dal ghetto e farla diventare negli anni Novanta forza di governo.

“Trieste a destra” descrive una realtà particolare e interclassista come quella missina e postmissina, specie nel delicato tessuto sociale triestino, trainata in ogni epoca dai giovani. Un lungo percorso in cui, facendo parlare i protagonisti e le fonti archivistiche, vengono affrontate le evoluzioni di un movimento capace di attraversare le diverse stagioni dell’Italia e quelle specifiche di Trieste: dall’occupazione Jugoslava di Tito alle giornate del novembre 1953, decisive per il ritorno all’Italia, dalla lotta contro il Trattato di Osimo al Giorno del Ricordo dell’esodo giuliano-dalmata e delle foibe partigiane.

Un percorso da rileggere in chiave storica e politica. Perché nel dopoguerra Trieste per il Msi era l’isola felice in un Nord che non ammetteva sconti ai neofascisti, ma soprattutto non ammetteva contatti, alleanze e strategie comuni in funzione anticomunista. Come scrive Parlato nella sua prefazione la città giuliana, in qualche modo, per una decina d’anni ha contraddetto questo schema. Fino a quando Trieste è stata in bilico tra Italia e Jugoslavia il Msi è stato importante se non altro per dimostrare agli scettici che una maggioranza filoitaliana in città c’era, una maggioranza che rendeva ancora più interessante e indispensabile la presenza della “Fiamma”. E il Msi con il suo 11,5% raggiunto alle amministrative nel 1952 e con il 15,7% conquistato nelle politiche del 1958 rappresentava una fetta non trascurabile di quella parte italiana.

Ma Trieste servì anche al Msi per traghettarlo fuori dall’isolamento politico quando, dopo le elezioni politiche del 1953, la Dc aveva bisogno della destra, come dimostrò l’appoggio esterno missino ai governi Pella, Zoli, Segni e Tambroni nonché l’elezione di Gronchi al Quirinale. In questo quadro di opportunità, il segretario missino Michelini intuì che la questione politica di Trieste diventava essenziale per il rinnovamento del partito. Trieste voleva dire solo Italia, non fascismo, e soprattutto a due passi c’era la cortina di ferro, c’era uno Stato comunista. Il pacchetto era ghiotto: foibe, esodo, confini naturali devastati. In più, il responsabile di questo dramma non era americano ma comunista. Per il Msi si presentava l’occasione storica di trasformare la contrapposizione fascismo-antifascismo in comunismo- anticomunismo, trovando quindi alleanze e considerazione presso le altre forze politiche. Di qui il successo, ma soprattutto le azioni di piazza della Giovane Italia sulla questione di Trieste.

Un realtà che in virtù anche di quelle azioni, spesso lontano da Roma non solo dal punto di vista geografico, consentì una diversa agibilità politica negli anni Settanta e Ottanta, con la figura di Almerigo Grilz - capo indiscusso del Fronte della gioventù e ben voluto da Almirante - come catalizzatore di un mondo in forte evoluzione. La prematura scomparsa di Grilz, che aveva lasciato la politica attiva per diventare reporter di guerra e morto in Mozambico nel 1987, privò Trieste e forse l’Italia - scrive ancora Parlato nella prefazione - del personaggio più intelligentemente creativo e innovatore della destra dal punto di vista della comunicazione politica, ma anche delle tematiche da affrontare.

Il resto è storia dei giorni nostri dove i postmissini, che di Trieste avevano fatto una città laboratorio, sono alla ricerca di un ruolo.

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