Cultura e Spettacoli

La grande abbuffata di Mantova

Cibo e cucina come filo conduttore della kermesse. Ma nessuno ha la ricetta per vendere romanzi e saggi

La grande abbuffata di Mantova

Terra di stracotto e capunsèi , di Rinascimenti e di incontri con l'autore, Mantova è ormai più famosa per il festival (padre-di-tutti-i-festival) che per la Camera degli Sposi di Mantegna, che è rimasta chiusa dal terremoto del 2012 a un mese fa. Palazzo Te è in crisi istituzionale e la giunta, prima volta nella storia della città più rossa della Padanìa, è pure di centrodestra. Peggio di così.

E così gli organizzatori del festival, stretti d'assedio da tutte le altre kermesse che l'hanno imitata negli anni (Sarzana ha appena chiuso e Pordenonelegge apre tra una decina di giorni), disorientati da una panorama letterario nazionale più monotono del solito (e già abbondantemente saccheggiato nelle edizioni scorse) e per di più, in tempi di larghe intese renziane, orfani di quella bella intellighenzia radical e anti-Cav cui piaceva pedalare per le vie del centro agghindate a festival, gli organizzatori, dicevamo, quest'anno hanno preferito abbandonare le accidentate strade dell'editoria di qualità puntando sulle più redditizie vie del gusto, del cibo, del mangiar bene. Tanto più che siamo già in clima Expo. Festivaletteratura 2014: tanti buoni autori stranieri (Teju Cole, la Bulawayo, Aleksandar Hemon, Gary Shteyngart...), pochi italiani, nessun vero gigante, mai così poca politica e politologia (per il momento è annunciata solo la presenza di Laura Boldrini, e in forma privata), molti appuntamenti per i bambini, e ancora di più per i ghiottoni: dalle consuete colazioni con gli autori ai laboratori di cucina etrusca («Le merende di nonna Anthus»), dal ciclo di incontri «Le parole del cibo» a Le meraviglie del vino e della vite , dalle lezioni negli orti ai «Racconti di zuppe» («Cosa si mangiava nelle nostre campagne 2500 anni fa?»), dalla lectio magistralis sul nutrizionismo a «La genetica che salva il vino», da «L'agricoltura dal volto umanO» spiegata dallo svizzero Hans Rudolf Herren alle ossessioni culinarie dell'Italia repubblicana svelate da Roberta Corradin.... E c'è pure un'app gratuita, Terre di Mantova , «per chi visita la zona (e le sue prelibatezze)».

Più masterchef, meno masterpiece. Alla fine dalle arti-star si passati agli stellati. Michelin. Siamo alla frutta? Oltre. Mantua me biscuit .

Insomma, oggi s'apparecchia il festival, una grande bouffe di cinque giorni che ha il cibo e la cucina come sotterraneo filo conduttore. Nessuno ha la ricetta per vendere più libri agli italiani, ma tutti sanno come attirarli alle kermesse culturali. Prendendoli per la gola. La star di Mantova, non a caso, quest'anno è l'americano Michael Pollan - «una delle voci più ascoltate, e meno ortodosse, nel dibattito globale sull'alimentazione» - che qui parlerà del suo nuovo saggio antropologico-culinario Cotto (Adeplhi), che è già iper recensito e un sicuro bestseller. Perché «quanto più invadenti sono i presunti virtuosismi di aspiranti cuochi, tanto meno sappiamo mettere in tavola qualcosa di decente». In programma, poi, ci sono anche lo storico Giorgio Boatti che ci spiega com'è il Paese dei nuovi agricoltori («L'Italia per campi e per boschi»), Piersandro Pallavicini che sorseggia «Un cocktail con Gunter Sachs», e persino un intervento di don Luigi Ciotti non sulla mafia o sulle droghe ma su come «Il cibo oggi deve essere libero. Per una produzione alimentare che riesca a coniugare il rispetto e la cura della terra all'affermazione di un'etica della legalità». Al termine dell'incontro, degustazione a cura di «Libera-Coordinamento di Mantova».

E così, forte di una antica abilità culinaria che riesce a trasformare una pietanza con ingredienti poveri in un piatto da 45 euro, Mantova ha preparato per i suoi ospiti un menù nel quale, fra 350 ospiti e 240 incontri, il «big» italiano è... Claudio Magris... Che insomma. Tanto più che parlerà (non stiamo scherzando) dei diversi tavoli della letteratura, di come si possa mantenere distinti e vicini il tempo della narrazione, l'impegno saggistico, la scrittura privata. È vero, come suggerisce lo slogano del ciclo Le parole del cibo : «Non si mangia più come una volta.

E neppure si legge.

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