Cultura e Spettacoli

I falsificatori della storia al servizio dell'ideologia

Le carte sull'Operazione Barbarossa lanciata da Hitler furono truccate dai sovietici e anche dagli ufficiali della Wehrmacht

I falsificatori della storia al servizio dell'ideologia

di Raimondo Luraghi

Q uando l'ultimo colpo di cannone fu sparato agli inizi di settembre del 1945 e l'esplosione della bomba atomica ebbe chiuso un'epoca storica spalancandone un'altra, la terribile vicenda della seconda guerra mondiale giunse alla fine dopo sei anni e quasi settanta milioni di vittime.

Una così immane vicenda avrebbe polarizzato quasi subito l'attenzione degli storici, spinti dall'aspirazione a venire a capo delle cause e degli avvenimenti della gigantesca catastrofe. Ed era anche naturale che essi fossero, specialmente in Europa, attratti dal colossale conflitto sul Fronte russo, dalle sue titaniche dimensioni, dall'urto su di esso di masse immense, dalla svolgersi colà delle più colossali battaglie che mai la storia avesse visto, dagli orrori senza nome perpetrati nel corso del conflitto, dalla sconvolgente cifra delle vittime, dall'epopea tragica e gloriosa di Mosca, di Leningrado, di Stalingrado.

Ma quando gli storici si accinsero ad affrontare tali eventi, una saracinesca si chiuse loro davanti. Questa era causata non tanto dalla barriera linguistica, che pure aveva la sua importanza, quanto dall'azione specifica del governo sovietico e del Partito comunista che lo reggeva. Anzitutto gli Archivi sovietici erano e rimanevano ermeticamente chiusi agli storici russi «non allineati»: non parliamo poi a quelli occidentali. Al posto di una corretta analisi storica veniva data vita nell'Urss a una versione (o, meglio, a una serie di versioni) ad usum Delphini ; i capi militari che avevano guidato e vinto la guerra furono volutamente ignorati; anzi, alcuni tra i più eminenti come il Maresciallo Zhukov furono spediti - o diremmo piuttosto «esiliati» - in località periferiche e secondarie a marcirvi; per non parlare di quelli tra loro che videro addirittura schiudersi le porte dei campi di concentramento e delle prigioni. L'unico vincitore della guerra sarebbe stato il «genio» del Maresciallo Stalin il quale anzi ora inventò per se stesso il grado di «Generalissimo» e si fece di un sol colpo attribuire tutte le possibili decorazioni esistenti nel Paese sovietico.

L'autore di queste pagine ricorda ancora le fotografie, diffuse in Occidente, della consegna al «Generalissimo» di tali insegne che, essendo in grandissimo numero gli venivano solennemente offerte... su un vassoio! Ma Stalin non era solo il Capo, il «Vozd», dell'Unione Sovietica; era anche il Segretario del Partito comunista; per cui nella leggenda pseudo-storica che si veniva elaborando la guerra sarebbe stata vinta grazie alla guida illuminata e geniale di Stalin e del Partito comunista. I combattenti della guerra erano esaltati genericamente con una gonfia retorica: ma chi fossero essi, in quali reparti inquadrati, da chi comandati effettivamente sul campo, tutto ciò rimaneva velato in un fitta nebbia; non parliamo poi delle vicende operative. Le opere «storiche» pubblicate in Urss erano del tutto uniformate a tale retorica e scritte in quella «lingua di legno» che era tipica del gergo ufficiale comunista, intese a distorcere la verità storica e a celarla dietro pesanti (e mal digeribili) disquisizioni ideologiche: sarebbe stato grazie all'ideologia del marxismo-leninismo «genialmente» impersonata e interpretata da Stalin e dal Partito comunista che la Germania nazista era stata battuta in quella che era definita «la grande guerra patriottica dell'Unione Sovietica»; definizione in sé corretta, ma usata ad arte come un'arma della «guerra fredda» per demolire, escludere e minimizzare l'attività su tutti gli altri fronti, il contributo alla stessa vittoria sovietica e la presenza medesima degli Alleati occidentali e di tutte quelle forze antifasciste che non accettavano la «versione» sovietica. In quel periodo la repressione raggiunse nell'Urss il peggiore livello: il massimo della pena per reati «ideologici» fu portato da 10 a 25 anni; i campi di concentramento aumentarono enormemente la loro «popolazione».

Questo metodo ebbe paradossalmente un esito dannoso per la parte - importantissima - svolta dall'Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale, perché gli storici di tutto il resto del mondo non potendo trovare altre fonti sulla guerra contro l'Urss, si rivolsero a quelle tedesche, accettandone più o meno volutamente la versione. Anche qui li attendeva un trabocchetto. Perché il materiale d'archivio tedesco era quasi del tutto inaccessibile quanto quello dell'Unione Sovietica, chiuso agli studiosi per lo meno fino agli anni Cinquanta (e gran parte di esso anche oltre). Non parliamo poi di quanto avveniva nel medesimo tempo nella Germania Orientale, ove la storiografia seguiva le «direttive» sovietiche. Letteralmente, milioni di pagine dagli archivi tedeschi, cadute in mano ai vincitori, erano state trasportate negli Stati Uniti e non poche in Inghilterra; ci volle tempo - anni - perché tutto questo immenso, prezioso materiale, restituito alla Repubblica Federale di Germania, trovasse la sua sistemazione in appositi archivi a Coblenza e a Friburgo. Là i documenti furono infine riordinati, inventariati e catalogati; ma ciò come si è detto avrebbe richiesto anni.

Nel frattempo dunque gli storici occidentali non poterono altro fare che buttarsi sul profluvio di memorie, ricordi, rievocazioni dovute per lo più ai Feldmarescialli, ai generali tedeschi e ad altri alti ufficiali della defunta Wehrmacht. Così inizialmente gli studiosi si trovarono davanti un materiale non solo tendenzioso, ma ingannatore e inteso a falsificare il corso degli eventi, scaricando le proprie responsabilità sulle spalle di altri, preferibilmente morti.

Il quadro che emergeva da tutta quella pubblicistica era sostanzialmente questo. Lo Stato Maggiore tedesco, erede delle sue grandi tradizioni, aveva elaborato una chiara visione strategica della guerra seguendo la quale si sarebbe ottenuta la vittoria sul Fronte russo. Ma il pazzo Hitler, dopo aver trascinato la Germania in una guerra folle all'Est contro il parere dei suoi generali i quali sempre vi si sarebbero opposti, aveva imposto la sua strategia dilettantesca ed infondata il che aveva causato i disastri militari avvenuti; a ciò si doveva aggiungere la grande superiorità numerica dei russi, che si sarebbe dovuta prevedere. Questo Hitler, poi, era un corpo estraneo nella grande tradizione militare tedesca, un «incidente di percorso» per la Germania. Insomma si arrivava alla conclusione paradossale che la Germania aveva perso la guerra, ma l'Urss non l'aveva vinta.

Pubblichiamo uno stralcio di Perché Hitler si volse ad est di Raimondo Luraghi, incluso nel numero di Nuova storia contemporanea , rivista diretta da Francesco Perfetti, oggi in uscita.

Si tratta dell'ultimo scritto, inedito, del grande studioso di storia americana morto nel 2012.

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