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I pirati dei Caraibi? Furono inventati da Conan Doyle

Crudeli, intrepidi, indisciplinati e più affascinanti di Johnny Depp: i racconti del padre di Sherlock Holmes e le illustrazioni di Howard Pyle ce li raccontano in presa diretta

I pirati dei Caraibi?  Furono inventati  da Conan Doyle

Com’erano nella realtà i pirati? Portavano davvero bandana e cappelli a tricorno e s’agghindavano con vistosi orecchini? Com’è nato il mito delle loro imprese nelle Antille e nei Caraibi? A far luce sull’immaginario piratesco è il prezioso libro di racconti Storie di pirati (Donzelli, pagg. 129, euro 23) scritto da Arthur Conan Doyle e illustrato da Howard Pyle.

Il papà di Sherlock Holmes scrisse le sette storie brevi raccolte in questo volume fra il 1897 e il 1911 sul Pearson’s Magazine e successivamente sul McClure’s Magazine. Una delle storie è dedicata all’imbarcazione pirata Slappinga Sal, un’altra ci racconta di un baronetto che attua una vendetta da ladro-gentiluomo a Londra, mentre le prime quattro short stories hanno per protagonista il terribile Capitano Sharckey. È lui l’intrepido comandante della «nave corsara Happy Delivery, un brigantino a palo da venti cannoni che transitava per le coste disseminandole di vascelli sventrati e di morti ammazzati. Circolavano aneddoti spaventosi sui suoi macabri scherzi e sulla sua inesorabile ferocia. Dalle Bahamas alle Antille, la sua nave nera come il carbone e con quel nome ambiguo, era stata garanzia di morte e di molte cose ben peggiori della morte».

Arthur Conan Doyle non usa mezzi termini nel descrivere le efferatezze di Sharkey e dei suoi uomini, abilissimi nell’abbordaggio, sempre a caccia di tesori e poco inclini alla pietà nei confronti delle vittime. Il Capitano Sharkey è descritto come un irriducibile, ma anche come una sorta di fantasma capace di sfuggire agli inseguimenti dei nemici, un marinaio abile nel camuffarsi e più volte sfuggito al patibolo. Ad accompagnarlo, un pugno di uomini selvaggi e ribelli con una «sfacciata mania per il lusso e che regolavano le loro razzie in base alle stagioni, devastando così la Nuova Inghilterra in estate e ridiscendendo verso le isole tropicali in inverno». Marinai senza disciplina né senso della misura che «trattavano i prigionieri a seconda dei capricci dettati dal loro stato di ebrezza. I lunghi periodi di inaudita ferocia erano infatti squarciati da sprazzi di grottesca generosità, e il capitano che cadeva nelle loro mani poteva ritrovarsi libero insieme al suo carico, dopo aver partecipato agli abominevoli bagordi dei pirati, o seduto al tavolo della sua cabina costretto a nutrirsi del proprio naso e delle proprie orecchie conditi con sale e pepe».

L’intrepido e sanguinario «Ismaele dei mari» John Sharkey è descritto come magro, perfettamente sbarbato, dalla carnagione pallida quasi cadaverica, praticamente pelato e con un naso affilato e a punta: «occhi azzurri velati e cerchiati di rosso come quelli di un bull-terrier albino». Non c’è niente di eroico, nelle imprese del nostro capitano, e anche la sua fine descritta in «Come Copley Banks assassinò il capitano Sharkey» è degna della sua fama: Sharkey viene legato assieme ai suoi compagni sulla tolda della sua nave e viene circondato di polvere da sparo che verrà fatta esplodere con un colpo definitivo di cannone. Una scena del tutto simile a questa appare nel film muto Il pirata nero di Albert Parker interpretato da Douglas Fairbanks del 1929. Un film considerato capostipite del genere piratesco che prende molti spunti dalla saga di Sharkey di Conan Doyle, ma soprattutto omaggia e saccheggia le illustrazioni di Howard Pyle presenti nell’edizione Donzelli di Storie di pirati.

I duelli, gli abbordaggi, la divisione del bottino, i ritrovamenti del tesoro e persino le scene in cui gli uomini vengono buttati a mare sono rivisitazioni esplicite dei disegni di Howard Pyle contenuti nel suo volume postumo del 1921 Howard Pyle’s Book of Pirates, un libro di 250 pagine corredato da 35 illustrazioni che sono diventate un punto di riferimento imprescindibile per chi vuole rappresentare il mondo di pirati e bucanieri.

L’opera di Pyle è stata così influente che tutti i costumisti del cinema chiamati a ricreare i vestiti dei pirati hanno dovuto fare i conti con l’illustratore americano, da L’isola del tesoro a Il corsaro dell’isola verde, da Pirati di Roman Polanski alla saga dei Pirati dei Caraibi.

Ed è singolare che proprio la divisa del Capitano Jack Sparrow interpretato da Johnny Deep nei film diretti da Gore Verbinski debba molto alle illustrazioni e ai colori di Pyle come Buccaneer of the Caribbean, Pirate captain on deck e al suo ritratto di Captain William Kidd.

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