Cultura e Spettacoli

Gli irrinunciabili saggi di Dyer, «autore» critico

Gli irrinunciabili saggi di Dyer, «autore» critico

A volte le ragioni commerciali rasentano il comico. Tipo Einaudi Stile Libero che intitola Il sesso nelle camere d'albergo il libro di scritti di Geoff Dyer. Tra l'altro non una raccolta occasionale o postuma, ma precisamente pensata dall'autore e da lui intitolata: Otherwise Know as the Human Condition . Poteva andare bene: La cosiddetta condizione umana , uno zibaldone su argomenti disparati, suddiviso in visivi, orali, musicali, variabili e personali.

In realtà Dyer, più che uno scrittore, è un critico inglese intelligentissimo, sebbene come tutti i critici tenti di affermare, pro domo sua , l'equivalenza tra critico e scrittore. In letteratura, tuttavia, vale la regola da lui stesso citata: «essere scrittori significa scrivere romanzi, il critico scrive sui romanzi degli scrittori». Esempio: De Benedetti esiste per scrivere su Proust, non Proust per far scrivere De Benedetti. Però a avercelo, in Italia, uno così. Voglio dire, rispetto ai vari La Porta e Berardinelli, Cortellessa e Cordelli e compagnia bella di Cip e Ciop, non c'è dubbio: Dyer è uno scrittore.

Magnifici, soprattutto, i suoi saggi sulla fotografia. Richard Avedon che fotografa un Auden infreddolito nella neve di New York e poeticamente refrattario ai ritratti («È assai sgarbato fare primi piani e, tranne/ quando imbufaliti, lo evitiamo:/ gli innamorati, nell'atto di baciarsi,/ chiudono d'istinto gli occhi prima che/ i loro visi si riducano/ a dati anatomici»). I terribili incidenti stradali di Enrique Metidines, perché «mentre tanti passano la loro vita a aspettare gli autobus, la vita, per Metinides, è un incidente che aspetta di accadere».

Attorno alle lamiere, la folla guarda inorridita, ma anche affascinata. D'altra parte «per mettere alla prova le cose è necessario farle sanguinare». Mentre per vederle è necessario renderle confuse come in sogno, simili alle foto sfuocate di Michael Acherman. Molto diverse dagli scatti altrettanto sfuocati del cecoslovacco Miroslav Tichy, vero e proprio guardone, fotografo clandestino di donne e ragazze in bikini con mezzi improvvisati: riavvolgeva il rullino con un meccanismo fatto con l'elastico dei pantaloni, realizzava obiettivi con lenti di vecchi occhiali. Sulla propria arte, e sulla fama, aveva comunque le idee chiare: «Se vuoi essere famoso, devi essere il peggiore del mondo in qualcosa».

In ogni scatto una storia, un racconto, una riflessione sulla vita. Dove è possibile innamorarsi dell'immagine di una donna che non conosceremo mai, o pensare all'assurdità del desiderio in generale e alla sua matematica: «Ero annientato da come la semplice matematica del desiderio proprio non tornasse: c'erano tantissime donne al mondo, possibile che fosse così difficile trovarne una? La domanda contiene in sé la risposta: sta nel tormentarsene e attirarne una, in quella possibilità su un milione che i matematici chiamano amore».

Ma perfino un deserto in Nevada, chiamato Bravo 20, dove gli americani effettuavano test nucleari e a lungo fotografato da Richard Misrach, evoca in Dyer l'idea di come si possa deturpare perfino il nulla: «Qui non c'era niente da rovinare se non il vuoto: ne è risultata una zona di vuoto rovinato. Il deserto si è ridotto a meno del deserto».

Irrinunciabili anche i testi a soggetto letterario: il rapporto tra Rilke e Rodin, un bellissimo confronto tra Bernhard e Sebald, e questioni apparentemente marginali, per esempio la polemica sui fratelli Goncourt, i più grandi pettegoli dell'Ottocento. Una diatriba squisitamente letteraria lunga un secolo. Secondo Marcel Proust i Goncourt era grandi ascoltatori. Col cavolo, dice Jacques Blanche a André Gide, nel diario di Edmond Goncourt era tutto falso, era un contaballe. Ma Gide gli risponde: «Attento, perché più riduci la sua statura di stenografo, più lo rendi grande come scrittore, come creatore». Infine, è evidente quanto uno dei modelli intellettuali di Dyer (a un certo punto esplicitamente dichiarato) sia Roland Barthes, il quale scrisse uno dei più bei saggi sulla fotografia, La camera chiara .

Per fortuna pubblicato da Einaudi normale, perché Einaudi Stile Libero l'avrebbe intitolato La camera chiara del sesso gay al Collège de France .

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