Cultura e Spettacoli

L'epopea delle serie tv è figlia di Aristotele

Per capire il fenomeno delle serie tv, Aristotele è meglio dei critici televisivi e dei giornalisti professionisti. Parola di Luca Bandirali ed Enrico Terrone, autori di un saggio sulla Filosofia delle serie TV. Dalla Scena del crimine al Trono di Spade (Mimesis, pagg. 218, euro 16). Il filosofo greco, infatti, nella Poetica chiarisce meglio di tanti professionisti della carta stampata la distinzione tra l'epopea, cioè la narrazione estesa e articolata tipica dei romanzi dell'Ottocento, e la drammaturgia, che è concisa e fortemente unitaria come quella che vediamo in azione al cinema, motivo principale del sorpasso del pubblico degli spettatori rispetto a quello dei lettori. Ebbene, nelle serie televisive, che si articolano in puntate, serie e stagioni, si compie una sintesi delle due categorie.
Ma che cos'è, in fondo, una serie tv, e perché viene presa in considerazione dagli accademici? Perché, rispondono i due autori, sono oggi tra le forme d'arte che più profondamente incidono nella nostra natura di umani. Parole forse azzardate, ma non infondate se pensiamo allo strepitoso successo mondiale di prodotti come Lost o Dottor House o Desperate Housewives. Il saggio, che analizza le più importanti produzioni degli ultimi quindici anni, ci offre anche un'originale riflessione sul mutamento antropologico dell'eroe seriale; il protagonista non è più il cavaliere solitario tipico delle vecchie serie di telefilm, alla Walker Texas Ranger, e neppure l'outsider nichilista immortalato da tanti film come Rambo o 007, ma è diventato un individuo che agisce in gruppo (il Dottor House o Jack Bauer di 24) o in una famiglia (Tony Soprano o Dexter) che detiene il monopolio della forza per preservare e difendere la propria realtà contro le forze esterne. E anche questo è un ritorno all'idea dell'identità e dell'appartenenza a una comunità contro l'individualismo esasperato.


In fondo, il susseguirsi di episodi incastonati nelle varie stagioni è la riproduzione della «serializzazione» dei romanzi ottocenteschi pubblicati a puntate sulle riviste; mentre il ritorno in primo piano della figura dello sceneggiatore, vero marchio di fabbrica di una serie tv, e il conseguente ridimensionamento del ruolo del regista, ricalca l'annosa querelle che, gli albori della storia del cinema, vide a lungo sceneggiatori e registi contendersi la primogenitura di un film.

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