Cultura e Spettacoli

Liberiamo il Romanino ostaggio degli Stati Uniti

Occorre un mecenate o una fondazione che faccia tornare in Italia l’opera un tempo alla Pinacoteca di Brera e oggi all’asta a New York. L’assordante silenzio delle nostre istituzioni

Liberiamo il Romanino  ostaggio degli Stati Uniti

Esiste un diritto internazionale, esiste il diritto alla proprietà ma esiste anche il senso dello Stato. Tutti sappiamo che i musei stranieri sono pieni di capolavori italiani e, a parte gli impressionisti francesi e alcuni grandi maestri francesi e spagnoli, sono questi capolavori le ragioni del maggior orgoglio di quelle istituzioni. Ma, come chiunque può capire, i quadri italiani devono stare in Italia. E le eccezioni non possono essere in contrasto con la legge. Oggi assistiamo a un episodio inverosimile. Un dipinto della Pinacoteca di Brera, proprietà dello Stato italiano, viene messo in vendita senza alcuna reazione delle autorità italiane nella pacifica accettazione del ministero, della Sovrintendenza di Milano e dei carabinieri. Il tutto dopo una sentenza di un giudice che è tanto giusta quanto paradossale. Una sentenza che se conferma il legittimo diritto di proprietà non può sostituire, sovvertire e scavalcare le leggi italiane. La storia è drammatica e semplice. Uno dei capolavori del più grande artista bresciano, Gerolamo Romanino, e forse tra i primi del Rinascimento lombardo, il Cristo portacroce, opera amatissima da Giovanni Testori, fu acquistato dallo Stato italiano per la Pinacoteca di Brera nel 1998. Era noto agli studi dalla metà dell’Ottocento, quando stava nella collezione Averoldi di Brescia. La famiglia era così notabile che Altobello Averoldi, prelato, commissionò a Tiziano un polittico, tra le opere più significative, dipinto dall’artista fuori Venezia: il polittico Averoldi per la chiesa dei santi Nazzaro e Celso.

Il Cristo portacroce del Romanino passò poi nella collezione Crespi. In tempi in cui le leggi erano diverse fu venduto a Parigi, nel 1913, al collezionista ebreo Federico Gentili di Giuseppe. Com’è tragicamente avvenuto anche in altri numerosi casi con il patrimonio degli ebrei, il dipinto fu requisito dai nazisti insieme ad altre opere della collezione Gentili di Giuseppe e venduto all’asta all’Hotel Drouot nel 1941 e acquistato da un collezionista milanese. Da quel momento l’opera, al di là del legittimo proprietario, tornò sotto la tutela dello Stato italiano, e vieppiù con l’acquisto, anche imprudente, da parte di Brera. La norma internazionale, infatti, ha determinato in cinquant’anni il tempo di reclamo e di rivendicazione di proprietà delle opere sottratte agli ebrei dai nazisti. Il silenzio durato tanti anni è il più triste segnale dello sterminio compiuto, ma il felice e imprevisto riapparire di un erede in America ha rimesso tutto in discussione.

Infatti la Pinacoteca di Brera, alla fine del 2011, concesse al Mary Brogan Museum of art and science di Tallahassee in Florida il prestito del Cristo portacroce e di altre opere senza alcun dubbio o incertezza sul titolo di proprietà. L’opera non sfuggì all’attenzione di un esperto di Christie’s che conosceva gli eredi. Dalla legittima denuncia del ritrovamento iniziò un’azione giudiziaria che impedì la restituzione dell’opera in Italia e si concluse con la restituzione ai proprietari nell’aprile del 2012. Una decisione giusta e legittima rispetto alla proprietà ma non rispetto alla destinazione e al vincolo di pertinenza. Per spiegarlo meglio i capolavori della collezione Guggenheim di Venezia acquisti da Peggy e proprietà di una fondazione americana, anche di grandi artisti non italiani, non possono uscire dall’Italia.

Un destino analogo dovrebbe toccare al Cristo portacroce del Romanino. E invece, con comprensibile rapidità, non avendo interesse a ricostituire la collezione dispersa dai nazisti gli eredi Gentile di Giuseppe, con l’evidente soddisfazione dell’amico segnalatore, hanno messo in vendita il dipinto presso Christie’s a New York. Lo si sa da qualche settimana, ma nessuna opposizione è stata fatta dalla Sovrintendenza di Milano e dalla magistratura competente. Sono troppo impegnati con Ruby per occuparsi di un capolavoro del Cinquecento lombardo! E, oggi, il dipinto va in vendita con una stima tra i 2 e i 3 milioni di dollari. Che fare?

Sperare in un improvviso risveglio dopo le sbronze erotiche di Ilda Boccassini come una vendicativa Salomè del Romanino? Aspettare che i carabinieri si distraggano dalle litografie di Cascella e di Schifano che hanno intercettato a Brescia e rispetto alle quali il Romanino bresciano, moralmente e materialmente, vale migliaia di volte di più? O sperare che un facoltoso mecenate, il presidente di una fondazione bancaria (che io cercherò oggi stesso) o il tesoriere di un partito (indirizzando i soldi a una finalità più nobile delle attività politiche di qualche presunto leader) acquisti il dipinto per depositarlo, a vantaggio dello Stato italiano, a tempo indeterminato presso la Pinacoteca di Brera.
Qualcuno si svegli, dunque!

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