Controcultura

A Londra tutto il meglio del Terzo millennio

Al Victoria & Albert Museum le tecnologie, i temi e i mondi virtuali dell'universo ludico

A Londra tutto il meglio del Terzo millennio

Videogames come forme di arte decorativa, ricerca di design, oltreché industria dell'intrattenimento e fenomeno commerciale. Un passatempo (il passatempo per eccellenza tra i millennials) che diventa anche una nuova forma artistica («artgame»).

Su questo postulato verte la mostra londinese, in programma dall'8 settembre al Victoria and Albert Museum, «Videogames: Design/Play/Disrupt». Una carrellata, senza pregiudizi, dei principali videogiochi, dal 2000 ai giorni nostri. Mostrati, e analizzati, attraverso l'impatto sulla cultura che questo medium videoludico ha saputo generare. Una forma d'arte con caratteri anche d'involontarietà, eppure spesso anticipatrice di tendenze stilistiche, e di cambiamenti sociali. Come nel caso del ruolo femminile: se la parità di sesso appare ancora incompiuta nella società, le eroine sono protagoniste assolute di alcune delle saghe alla console più popolari. Una strategia anche per avvicinare il pubblico femminile a un mercato enorme (si calcola siano circa 2,2 miliardi i giocatori abituali in tutto il mondo): una comunità globalizzata in crescita esponenziale. Che si nutre di tecnologia, intrattenimento, sperimentazione e arte, gli ingredienti di questo «complesso media artistico», come lo ha definito Tristam Hunt, direttore del V&A, rivendicando con orgoglio «la prima mostra allestita in un grande museo internazionale, e dedicata a una delle più importanti industrie del design dei nostri tempi».

La mostra si articola in tre sezioni, a cominciare dal focus sul design dei videogiochi, prodotti sia dai grandi studios che da designer indipendenti. In esposizione disegni e schizzi di eroi in pixels, una tuta motion capture (per tradurre i movimenti reali del corpo nel mondo virtuale), le illustrazioni originali del blockbuster The Last of Us (2013). Ma anche il quadro di René Magritte Le Blanc Seing (1965), che ha ispirato la scenografia del videogioco Kentucky Route Zero (2013). Attraverso un display interattivo, la seconda sezione mette in risalto come i videogiochi abbiano trattato, più o meno direttamente, temi sensibili, quali la razza, la sessualità e persino la geopolitica. L'ultima parte dell'esposizione si concentra infine sul ruolo del giocatore nell'inedita veste di co-creatore. Come mai prima - questa la tesi della curatrice Mary Foulston - i videogame sono riusciti a democratizzare il design: l'esempio più noto è la creazione del continente di Westeros, di Game of Thrones, in Minecraft, frutto della collaborazione di centinaia di utenti, che insieme hanno immaginato e costruito castelli, montagne e città.

Una compartecipazione internazionale resa possibile dalle conquiste tecnologiche del nuovo millennio: è anche per questo che la mostra parte dal 2000, considerato l'anno di svolta. Che - grazie alla diffusione su larga scala della broadband prima, e dei social media poi - ha trasformato il modo di disegnare, dibattere e giocare.

Creando quella «potentissima universalità», come sottolinea Foulson, che i videogame portano in dote alla cultura contemporanea.

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