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Lui l'aveva già capito: il nazionalismo "crucco" è un marchio di fabbrica

Malaparte disse che la sconfitta nella Seconda guerra mondiale non avrebbe indebolito, ma rafforzato la ferrea determinazione teutonica. E infatti...

Lui l'aveva già capito: il nazionalismo "crucco" è un marchio di fabbrica

Nel pieno della guerra fredda, Curzio Malaparte, da qualche anno tornato alla ribalta delle lettere con i successi (e le aspre polemiche) internazionali che avevano accompagnato la pubblicazione di Kaputt , riprese l'attività di inviato speciale con una serie di reportage dei quali l'ultimo, Esplorazioni della Germania d'oggi , apparve fra il settembre e il dicembre 1953. Contemporaneamente pubblicava su un settimanale la rubrica Battibecco , nella quale, con la sua prosa irriverente e fulminante, si lasciava andare a giudizi e considerazioni spesso iconoclasti e, in qualche caso, profetici. Proprio in uno di questi corsivi espresse opinioni che, alla luce di quanto sta accadendo oggi, appaiono lungimiranti.

Lo spettacolo della Germania di Bonn - martoriata, distrutta dalla guerra e privata di una consistente parte del proprio territorio e tuttavia impegnata in un gigantesco sforzo di ricostruzione -, lo colpì al punto da fargli scrivere che nessun altro Paese, neppure gli Stati Uniti, era in grado di tenergli testa in termini di ritmo di produzione e che, nell'arco di un decennio, essa sarebbe stata pacificamente «la padrona di un'Europa divisa, stremata dalle lotte politiche e sociali, dalla cattiva amministrazione, e dalla fatale inerzia dei governi e dei popoli». È una fotografia - verrebbe da dire - della situazione attuale, che ci mostra la Germania di Frau Merkel esercitare una egemonia economico-politica sul continente e imporre, di fatto, la propria volontà a tutti i Paesi di una «Europa unita» che, nello stesso corsivo malapartiano, un grosso industriale della Ruhr definiva già allora «una triste realtà».

Malaparte, nel dopoguerra, in Germania era stato diverse volte. Nella primavera del 1946, per esempio, vi si era recato, probabilmente per conto dell'Allied Psycological Warfare Branch, e aveva scritto una serie di articoli dal titolo complessivo Germania nuda , che avevano suscitato non poche rimostranze. Vi era tornato nel 1952 nel quadro di un vasto reportage intitolato Viaggio in un continente malato . In quella occasione aveva osservato che sarebbe stato un errore pensare a una Germania «mutata, nel suo spirito, nel suo carattere, nella sua natura» solo perché aveva perduto la guerra. No, aveva precisato, la Germania era rimasta quella di sempre e, semmai, la sconfitta era servita a far venire allo scoperto «quei caratteri essenziali del popolo tedesco, che, per molti anni, dal 1933 al 1945, erano rimasti nascosti agli occhi dal carattere fittizio, transitorio del nazismo». La Germania, insomma - come ben dimostravano «l'odio, l'acredine, il rancore (e il disprezzo) verso gli stranieri, specie verso i vincitori» - non aveva rinunciato al nazionalismo: «il popolo tedesco, impotente a trovar le ragioni della propria rinascita spirituale in una nuova forma di orgoglio nazionale si è adattato a ripetere lo stesso spirito di quel nazionalismo che, dal 1933 al 1945, si è chiamato nazismo».

Può darsi che sul giudizio di Malaparte e sulla sua denuncia di un nuovo presunto militarismo germanico pesassero le furibonde polemiche che avevano accompagnato la traduzione tedesca del suo Kaputt apparsa l'anno precedente. In realtà Malaparte, il cui vero nome era Erich Kurt Suckert e nelle cui vene scorreva un po' di sangue tedesco, la Germania, soprattutto quella che evocava il romanticismo della Foresta Nera, l'amava profondamente. Un suo attento biografo, Maurizio Serra, ha osservato che per Malaparte «la Germania era ancora e sempre il padre mancato, nell'attesa di ritrovare quella mamma marcia che ai suoi occhi era ormai l'Italia e - con l'Italia - l'Europa».

Rimane il fatto, però, che egli, anche negli articoli successivi, continuò a insistere sui connotati caratteristici, quali egli li intendeva, del popolo e del carattere tedesco, sul suo nazionalismo, sulla sua vocazione egemonica. Arrivò a scrivere che «il problema centrale dell'Europa contemporanea si chiama Germania. È un problema comprensivo dell'unità politica, morale, civile, e persino religiosa dell'intero continente». Le analisi di Malaparte erano condizionate dai tempi bui che stava vivendo l'Europa dopo la catastrofe della guerra mondiale. Tuttavia, liberate dalla contingenza, si rivelano sempre più utili per farci capire certe tendenze del presente: in particolare il fatto che anche oggi il problema centrale dell'Europa è la Germania.

La Germania di Frau Merkel.

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