Cultura e Spettacoli

Quel magico noir del duo Boileau-Narcejac

«Nel nostro lavoro bisogna saper mentire, tutto qui». Il lavoro di cui parla madame Odette è quello degli illusionisti. Monete “animate”, palline “ammaestrate”, gesti fintamente “maldestri”... È un'esistenza tra virgolette, citazionale, caleidoscopica, ammaliante, in una parola falsa , la sua. La sua e quella di suo figlio, Pierre Doutre. Odette, trasformista ed effimera come la Odette della Recherche . E Pierre nel cui cognome ci sono le stesse, identiche lettere, salvo una lieve, impercettibile inversione, del verbo douter : dubitare. Infatti il ventenne appena uscito dal collegio per volare ad Amburgo a dare l'estremo saluto al padre, l'inimitabile professor Alberto mago di mille trucchi e di mille ambasce, morto (pare) per infarto durante una tournée in Germania, dubita che quella sia la strada giusta anche per lui. «Avrei potuto fare il giardiniere... o la guardia campestre...». Ma lì, nella compagnia di giro ora condotta da sua madre, oltre al tuttofare rintronato dalla guerra Vladimir e al cinico mestierante Ludwig, c'è anche la dolce Annegret. Anzi no, ce ne sono due, di Annegret: sono le gemelle Hilda e Grete, tedesche tanto belle quanto ottuse, mansueti manichini fra le mani di un demiurgo che sovrintende al loro numero di sdoppiamenti, sparizioni e ricomparse. Annegret è la menzogna spacciata al pubblico e ai giornalisti, tutti entusiasti per quella performance clamorosa e inusitata. Ma se è facile «saper mentire» ogni sera sul palcoscenico, perché per farlo bastano la fame, l'esercizio e la dabbenaggine di chi guarda, difficile è invece «saper mentire» nella vita.

Dopo I diabolici , tocca all'inedito in italiano Le incantatrici continuare a rinverdire, nel progetto editoriale di Adelphi (pagg. 198, euro 18, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella, da oggi in libreria), il fascino vintage di due maestri francesi del noir, la premiatissima ditta Boileau-Narcejac, amata e arruolata dal grande cinema di altri maestri come Clouzot ( Les Diaboliques da Celle qui n'était plus ) e Hitchcock ( Vertigo , alias La donna che visse due volte , da D'entre les morts ). Ottava collaborazione di una lunghissima serie, Les magiciennes uscì, come tutte le loro opere, da Denoël nel '57, e tre anni dopo divenne il film omonimo di Serge Friedman con le gemelle Kessler nei panni delle malcapitate sorelle. Fino a quanto siano malcapitate le due, ovviamente non diremo. Basti aggiungere che, se l'illusionismo è in qualche modo metafora della vita, anche la vita può essere metafora di se stessa, mascherando, questa volta senza cerone e rimmel e rossetto, il dolore con il successo. Aggiungete alla (ingombrante come capirà chi leggerà) presenza di Hilde e Greta le altre due forze che agiscono sulla scena del romanzo: da un lato le trattenute pulsioni del complessato Pierre, dall'altro la possessività tipicamente materna di Odette...

Comunque, il flash-forward della prima pagina, con le parole pronunciate a posteriori in un ufficio di polizia da Ludwig, potranno indirizzare i sospetti del lettore consumato in materia di trame criminali. Non troppo però, non fino al punto di rovinare, tutt'altro, il piacere di scoprire, pagina dopo pagina, spettacolo dopo spettacolo, città dopo città, litigio dopo litigio, l'architettura di B&N, ingegneri specializzati in costruzioni che decostruiscono l'animo umano, mettendolo costantemente di fronte alle proprie debolezze. Questa volta, nella microcomunità che vaga per l'Europa sotto l'insegna di «Gli Alberto», in onore al capostipite da tutti rimpianto, vittima e assassino hanno lo stesso nome: gelosia.

Perché anche la gelosia, come l'inesistente Annegret, può sdoppiarsi, triplicarsi, quadruplicarsi senza che gli spettatori, e i lettori, se ne accorgano.

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