Cultura e Spettacoli

Malaparte&Co Camere con vista sul mito di Capri

Fra amori, libri, ozi e leggende, le sontuose dimore affacciate sui faraglioni hanno ospitato generazioni di scrittori e artisti

Malaparte&Co Camere con vista sul mito di Capri

Ce ne sono più di cento. Lussuose, umili, spaziose, minuscole, comode, spartane. Tutte però testimoniano la stessa utopia, l'idea di un segno distintivo, la volontà di annullarsi e insieme affermarsi, l'epifania che ha trovato il suo luogo di elezione. «Isole nell'isola», la bella mostra-catalogo approntata dalle edizioni La Conchiglia (via Le Botteghe 12, testi di Tito Fiorani, ricerca iconografica di Riccardo Esposito, pagg. 462, euro 68) racconta proprio questo: le dimore del mito a Capri, attraverso i personaggi che le resero possibili. Nomi illustri, Fersen, Munthe, Malaparte. Nomi dimenticati, Andreae, von Behring, Hornestein. Nomi che andrebbero ricordati, Bragaglia, Capponi, Vannicola... Il risultato è una gioia per gli occhi e una stretta al cuore.
Carmela Cerrotta, detta la «Bella Carmelina», aveva poco più di vent'anni quando lungo la strada che porta alle rovine di Villa Jovis, in prossimità del Salto di Tiberio ebbe in concessione un pezzo di terra da adibire a posto di ristoro. Era l'inizio del Novecento, lei aveva una tipica facies saracena, sapeva ballare, cantare, narrare. Divenne «la bella guardiana dei ruderi», esperta nelle nefandezze di «Timberio» e della sua corte, da lei di volta in volta inventate a seconda di come l'immaginazione le dettava, ultima «ancella» di un mondo classico scomparso. Chi si arrampicava a visitare i ruderi del grande Palazzo imperiale trovava lì vino, il bianco Capri asprigno, cibo, storie e canzoni. Una lapide, fra via Tiberio e via Lo Capo, ancora oggi la ricorda: ormai vecchia, non potendo più arrivare al Salto da dove «Timberio» faceva precipitare le sue vittime, si buttò dal balcone di casa, dopo aver tagliuzzato con le forbici le sue vesti di ballerina di tarantella che non le entravano più. La Trattoria negli scavi esiste ancora, ed è un tutt'uno con il genium loci di un imperatore geniale e infelice.
Villa Carù è l'ultima costruzione sulla sinistra per chi percorra il viottolo che dal Pizzolungo porta all'Arco Naturale. Oggi è di una società milanese, ma nacque come dimora dell'ambasciatore Guglielmo Rulli, che aveva acquistato il terreno da Curzio Malaparte, suo buon amico. Al poeta Ungaretti, che ne fu ospite sul finire della Seconda guerra mondiale, apparve «una casa costruita dentro una zona diseredata dell'isola, dove è scabroso andarci, e, direi, quasi impossibile abitarci». Quindici anni dopo, come a smentirlo, Lamberti Sorrentino ne fece la casa della vita e la battezzò Noa-Noa, come il quadro di Gauguin.
Sorrentino è un giornalista che nessuno o quasi ricorda più, ed è un peccato. Era nato al giro di boa fra Ottocento e Novecento, e del nuovo secolo non si era perso nulla: «ardito» nella Grande guerra, poi con d'Annunzio a Fiume, negli anni Venti in Brasile era scampato a una condanna a morte per aver partecipato alla rivoluzione cruenta dei «Tenentes»; negli anni Trenta aveva «coperto» la guerra di Spagna e la campagna di Etiopia, per poi finire sul fronte russo della Seconda guerra mondiale. Gli anni Cinquanta lo vedranno in Ungheria, arrestato dai russi durante la repressione sovietica del '56... Definì Noa-Noa «la scialuppa di salvataggio della mia vita»: passava la mattina nuotando, il pomeriggio leggendo, la sera ricevendo, ebbe tre mogli, l'ultima, un'americana, che quando sposò, superati i settant'anni, non ne aveva nemmeno trenta e gli diede un figlio, Manfredi. «Capri mi restituisce il mio passato. Qui non si possono raccontare bugie né a sé né agli altri. La natura dell'isola ti disarma».
«Cave hominem», attenti all'uomo, è la targa che ancora oggi ammonisce chi sta per entrare a Villa Cercola. Attualmente di proprietà di un imprenditore locale, giardino a terrazze, mura bianche e fresche, pergolati e pini italiani, fra le due guerre ospitò lo scrittore Somerset Maugham e due suoi amici inglesi: dopo la scandalo Wilde, Londra per loro non era più salubre. Uno di essi, John Ellingham Brooks, aveva sposato anni prima Beatrice Romaine Goddard, pittrice, ereditiera, lesbica. Il matrimonio, ovviamente, non durò, Romaine liquidò economicamente il marito, si installò a Vila Cercola nel 1919, ne fece il suo atelier, fu ribattezzata «Cinerina» da d'Annunzio, ebbe come amanti Ida Rubinstein e Natalie Barney Clifford, scrisse un'autobiografia e la intitolò No pleasant memories, «Nessun dolce ricordo».
Delle cento e passa dimore, Fiorani e Esposito tracciano un compendio esemplare, una sorta di biografia scritta e per immagini. Villa Ceselle, che oggi è un albergo, ospitò alla fine degli anni Venti Alberto Moravia. «Capri non è davvero fatta per lavorare e per questo non vedo l'ora di andarmene» scrisse allora a un amico. Poi però ci ritornò, e per più di vent'anni. «È uno dei ricordi più belli della mia vita. Elsa e io facevamo delle eccentricità del tipo caprese. Elsa aveva un gatto siamese al guinzaglio ed io camminavo con un gufo sulle spalle». Gli indifferenti.


di Stenio Solinas

da Capri

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