Cultura e Spettacoli

Mogli, medici e comunisti. Le (dis)avventure di Roth

Un divertente viaggio nei libri dell'autore di "Lamento di Portnoy": Strettamente intrecciati alla sua biografia. Per niente tranquilla...

Philip Roth  è uno dei più famosi scrittori al mondo
Philip Roth è uno dei più famosi scrittori al mondo

Nell'introduzione alla bio-bibliografia che la giornalista del New Yorker Claudia Roth Pierpoint ha pubblicato sul casualmente omonimo - né parente né ex marito - Philip Roth, dal titolo Roth scatenato. Uno scrittore e i suoi libri , in uscita in Italia il 20 gennaio (Einaudi, pagg. 300, euro 22), l'autrice specifica che il libro riguarda «la vita dell'arte» del maestro di Newark e quindi «inevitabilmente, l'arte della sua vita». Questo perché il volume di pettegolezzi, anche intimi, ne contiene. Ma vuole essere - e alla fine è - un resoconto letterario prima che umano. I due si sono conosciuti nel 2002 a una festa, ma questo Roth nemmeno se lo ricorda. Due anni dopo, è lui a scriverle una lettera a proposito di un articolo di lei: «Io risposi, lui rispose e siamo finiti a berci un caffè a New York City». Seguono gli otto anni di dialogo ininterrotto, in cui la giornalista fa il suo mestiere e prende appunti su trenta opere e mezzo secolo di attività: «Ha avuto il tempo di parlarmi del suo lavoro perché aveva smesso di farlo». Non si capisce perché lui scelga proprio lei, che diventa ben presto anche lettrice dei suoi manoscritti. Non si capisce perché lui le permetta di «aggirarsi furtivamente» tra i suoi file nella casa del Connecticut. Forse perché lei non ha ascoltato altri che lui, a differenza di quel che dovrebbe fare ogni buon biografo. O forse perché lui ha sentito di averla del tutto «sedotta» («Non è solo divertente, fa sentire divertenti le persone accanto a lui: è l'uomo dalla risata più facile che abbia mai conosciuto») e quindi di non avere nulla da temere.

Troverete montagne di pagine, in questo volume, sul lavoro di Roth. In ognuna scoprirete che l'intersezione con la sua vita privata è semplicemente inestricabile. Ecco perché in queste pagine quelli che altrove chiameremmo pettegolezzi acquistano un senso ineludibile. Prendiamo i matrimoni: il nostro non ha mai voluto sposarsi o almeno di certo con nessuna delle sue due mogli. Dal memoir della sua seconda, Claire Bloom, Leaving a Doll's House , pubblicato dopo l'allucinante divorzio, nel 1996 (memoir in cui, tra ricoveri psichiatrici e rappresaglie conomiche, lo dipinge come un mostro) si sa che all'unione lo ha costretto lei e lui aveva posto come condizione un accordo prematrimoniale che persino gli avvocati definiscono «di una brutalità mai vista prima». Meno si sapeva della sua prima moglie, Margareth Martinson Williams, sposata nel 1959, da cui divorziò nel 1963, morta in un incidente nel 1968. Quando la conobbe, il 25enne Roth comprese che gli avrebbe offerto un'abbuffata di realtà «difficile e pericolosa». Una miniera d'oro per uno scrittore. Figlia di un alcolista e galeotto, incinta a 18 anni dopo aver lasciato la scuola, già divorziata, si trasferì da lui all'improvviso, nonostante una rottura, e all'improvviso rimase incinta. Lo dimostrò con un test, che Roth stesso andò a ritirare in farmacia, incredulo. Lei minaccia di lasciare il bambino sulla porta dei genitori di Roth, se lui non la sposa. Lui acconsente al matrimonio purché lei abortisca. Lei esegue. Si sposano. Tre anni dopo lui minaccia di lasciarla, lei tenta il suicidio, lui la salva, lei confessa che non era affatto incinta, quella volta. Aveva comprato il test da una donna che abitava lì vicino e non aveva mai abortito: era andata al cinema.

Maggie non è l'unica ad ingannarlo. Il suo psichiatra «specializzato in creativi e scrittori», Hans Kleinschmidt, che lo accusava ripetutamente di essere invidioso - ad un party di presentazione di un romanzo di William Styron si sentì male, «Tutta invidia» gli disse lo psichiatra: si scoprì poi che gli si era rotta l'appendice - pubblicò un articolo su di lui a sua insaputa, L'atto di rabbia: il ruolo dell'aggressività nella creatività , su American Imago . Omise il nome e altri dettagli, ma lui era lì, psichicamente nudo nel ritratto del suo medico: «ansia da castrazione dovuta a una figura materna fallica» e via con le intimità rivelate.

A quegli stessi anni risale un flirt con Jackie Kennedy. Si incontrarono a un party nel 1964, lei gli piacque, ma era troppo intimidito «e sprovvisto del guardaroba adatto per portare avanti la relazione». Ad un secondo incontro, con scarpe e abito nuovi, sulla limo nera che li riportava a casa guidata da un tizio dei servizi segreti, si chiedeva: «Dovrei baciarla? So tutto di Lee Oswald e della crisi a Cuba, ma dovrei baciarla?». Lei gli chiede di salire, in silenzio che i bambini dormono, lui la bacia ed è come «baciare un volto su un manifesto». La crisi creativa finì, venne alla luce il ritratto di Maggie in Quando lei era buona e poi il Lamento di Portnoy , il successo in 400 mila copie entro l'anno - il 1969 - e con quello i guai con l'ebraismo. Gershom Scholem scrisse sull' Haaretz che il romanzo dissacrante dell'ebreo Roth era «il libro per cui tutti gli antisemiti avevano pregato», più dannoso dei Protocolli di Sion , un libro per cui tutti gli ebrei avrebbero dovuto «pagare un prezzo».

Ci sono anche pettegolezzi felici. Gli anni di Praga, in cui Roth crea, tornato in America dopo il primo viaggio laggiù nel 1973, l'Ad Hoc Czech Fund: abbina 14 scrittori americani - tra cui Arthur Miller, John Updike, John Cheever - ad altrettanti scrittori cechi in difficoltà, per sostenerli economicamente; incontra Vaclav Havel e Milan Kundera, con il quale parla per tre, quattro ore al giorno, la moglie Vera a far da interprete: «Alla fine sembrava che avesse fatto sesso con entrambi, tanto era eccitata dalle nostre conversazioni». L'idillio è interrotto bruscamente dai servizi segreti comunisti. C'è anche il ricordo che lo commuove, finalmente legato alla gloria: a un «figlio di Roosevelt», democratico da una vita, viene conferita da Obama la National Humanities Medal, nel marzo 2011. Lui è tra Joyce Carol Oates e Sonny Rollins, ma quando Obama entra è lui che riconosce per primo: «Philip Roth!» esclama entusiasta. «Presidente Obama!», risponde lui con lo stesso tono sorpreso. E poi l'ultimo pettegolezzo, in cui si svela chi forse fu il primo a sapere che avrebbe smesso di scrivere: «Lei non sta rallentando affatto», gli disse allora Obama nel breve discorso confidenziale.

«Oh, sì, signor presidente, eccome».

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