Cultura e Spettacoli

Non sparate sui «libroidi» Tengono in vita l'editoria

Non sparate sui «libroidi» Tengono in vita l'editoria

Che l'editoria letteraria non viva un gran momento è sotto gli occhi di tutti. Basta pensare al triste fenomeno dell'analfabetizzazione di ritorno. Sull'ultimo numero di Internazionale il linguista Tullio De Mauro riporta i dati raccolti dall'Ocse che dicono che il 33% degli italiani non capisce o non sa scrivere una breve frase e una percentuale ancor più alta ha difficoltà nella comprensione di testi orali.
Partendo da questo presupposto sembra facile, quindi, dare ragione a Raffaele La Capria che pochi giorni fa sul Corriere della Sera lamentava lo strapotere dei «libroidi» nel mercato librario. E per «libroidi» si intendono (prendiamo qui a prestito la definizione di Gian Arturo Ferrari, per anni direttore generale della Mondadori) «quegli oggetti che dei libri hanno tutte le fattezze ma non l'anima. Non hanno capo né coda, né l'invenzione di una storia, il bene di un concetto, un autore vero». Il loro strapotere, lamenta La Capria, rischia di impoverire e mortificare l'isola sempre più ristretta della cultura letteraria italiana.
Ma le cose stanno davvero così? Ci siamo rivolti agli esperti del settore per avere un quadro meno approssimativo della situazione. E abbiamo chiesto loro: questi «libroidi» fanno davvero male all'editoria di cultura? «Tutt'altro - spiega Giovanni Peresson, responsabile dell'ufficio studi dell'Associazione italiana editori -. Quelli che ora chiamano “libroidi” ci sono sempre stati, fin dagli albori dell'editoria a carattere industriale. Semmai la diversità rispetto a prima è nel medium che li pubblicizza. Parlo ovviamente della tv». Che però, secondo Peresson, «ha anche una virtù non trascurabile: porta in libreria i cosiddetti lettori occasionali. Coloro che, in buona sostanza, abitualmente non leggono, ma che, spinti proprio dalla promozione televisiva, si incuriosiscono di questi “libroidi” firmati da personaggi famosi e vanno in libreria per comprarli». Se si obietta che questo è un circolo vizioso che non sposta di un'acca la questione posta da La Capria, Peresson tira fuori i numeri. «Secondo quanto emerge da un'indagine sugli ultimi cinque anni - spiega -, i cosiddetti lettori occasionali entrati in libreria per acquistare un “libroide”, sono usciti dal negozio con 1,27 libri. Vale a dire che ogni cento libroidi acquistati sono usciti dalla libreria altri 27 volumi». Segno evidente che l'editoria popolare traina naturalmente quella colta. Quest'ultima, insomma, vive alle spalle della prima.
Tesi confermata da un altro esperto del mercato editoriale. «Più che di lettori occasionali - puntualizza Giuliano Vigini, autore tra l'altro di una Storia dell'editoria italiana dall'Unità a oggi (Editrice Bibliografica) - parlerei semplicemente di clienti. Però rappresentano una fetta molto alta del mercato. Quindi non va demonizzata, anche se per portarla in libreria servono le canzonette o i quiz televisivi». Allora perché sui social network circolano immagini di librerie che espongono in vetrina il cartello «Qui non si vendono libri di Bruno Vespa»? Non è un controsenso? «Altro che controsenso! - ribatte Giovanni Peresson - È proprio una stupidaggine. È un volersi fare del male da soli. E di questi tempi non è certo una mossa intelligente rinunciare così a cuor leggero a fare degli utili».
D'altronde lo stesso Gian Arturo Ferrari in un articolo di qualche mese fa ricordava il caso dell'editore americano Knopf che, dopo aver pubblicato per decenni titoli di altissimo valore letterario (a iniziare dalle opere di Thomas Mann), ha inserito nel suo catalogo un volume di ricette scritto dalla cuoca di Oprah Winfrey. Il successo clamoroso di questo titolo ha ridato fiato al «povero» editore che ha così potuto continuare il proprio impegno mandando in stampa i nomi più prestigiosi della letteratura mondiale.
Gli esperti comunque concordano su un punto: sono le librerie a soffrire maggiormente la veloce rotazione dei libri di consumo. E se i lettori forti sembrano diminuiti è solo perché hanno imparato ad acquistare i libri su internet. Dove, grazie agli sconti, possono trovare i libri di catalogo e anche a prezzi migliori.
Nell'arringa di La Capria si fa poi esplicito riferimento a una «vera e propria invasione barbarica». Secondo la descrizione apocalittica dell'autore del romanzo Ferito a morte (Premio Strega nel 1961), il territorio della letteratura è «invaso da una folla di alieni». I premi letterari sono «vuote cerimonie, inventati più per usare la letteratura che per onorarla» mentre gli scrittori (quelli veri, almeno secondo La Capria) dovrebbero «opporre con più fermezza le loro classifiche a quelle altre», dovrebbero «dire più spesso “fatti più in là” quando si verifica un'invasione di campo troppo insistente da parte degli alieni». Con un determinismo letterario quanto meno sospetto.

Come se non si riconoscesse alla lezione della Storia alcun valore, quando questa ammonisce che ogni società decadente rivive e rinasce proprio grazie ai «barbari invasori».

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