Cultura e Spettacoli

Ognuno per sé, tutti per i Novanta

Nessun progetto teorico né ideologico. Ma l'arte fra il crollo del Muro e quello delle Torri Gemelle ha tanto da dire

Ognuno per sé, tutti per i Novanta

Il Grunge, le camicie di flanella e i Nirvana. Pulp Fiction , Uma Thurman e il cinema tarantinato. Gioventù Cannibale e Stile Libero, la collana Einaudi che ha cambiato la maniera di leggere degli italiani. Gli Anni Novanta sono stati, come ricorda Marco Belpoliti, «l'età del disordine», che ha «incubato i conflitti seguenti e lo ha fatto in modo spensierato, allegro, anti-ideologico». «Liberi tutti! Arte e società in Italia 1989-2001», a cura di Luca Beatrice e Cristiana Perrella, prova a fare per la prima volta il punto su quanto accadde nel sistema dell'arte italiana in quegli anni, prendendo come estremi cronologici i due «crolli», la caduta del Muro di Berlino e quella delle Torri Gemelle.

La mostra, che si apre il 7 luglio al MEF di Torino, si rifà nel titolo a una canzone dei Subsonica, band sabauda icona della destrutturazione stilistica di quel decennio. Il lavoro critico su di un tempo in cui siamo ancora immersi non è semplice (e gli esiti involontariamente comici della fiction 1992 sono qui a dimostrarlo), ma Beatrice e Perrella tentano una messa a fuoco che procede dall'intenzione di rappresentare anzitutto un'età liberata non solo dall'ideologia, ma anche dall'egemonia dei grandi critici. Se gli Anni Settanta sono Germano Celant e l'invenzione dell'Arte Povera (che per precisione risale al 1967), se - per reazione - gli Anni Ottanta sono inclusi nel disegno di rilancio dell'Italianità promosso e anticipato da Achille Bonito Oliva con la Transavanguardia, la sperimentazione degli Anni Novanta è in buona parte determinata dall'assenza di un progetto teorico capace di investire con altrettanta forza il senso e la direzione operativa dei nostri artisti.

A livello internazionale la riflessione sugli Anni Novanta ha già dato frutti interessanti, come la mostra curata da Massimiliano Gioni nel 2013 al New Museum di New York, che, sotto il nome di «Experimental Jet Set, Trash & No Star» (mutuato da un album dei Sonic Youth), si concentrava sulla Biennale del Whitney del 1993, seminale per l'arte americana. Allo stesso modo «Come as You Are» (qui il titolo è “rubato” ai Nirvana di Nevermind ) è un progetto itinerante cominciato al Montclair Art Museum nel New Jersey lo scorso febbraio, che si concluderà dopo quattro tappe in Texas nel marzo 2016. Nel Regno Unito si ripensa alla generazione Sensation, con monografiche dedicate a Sarah Lucas (al padiglione Uk alla Biennale) o Martin Creed; in Francia il Pompidou rimette in fila quanto accaduto negli ultimi trent'anni alla propria collezione, mentre Beaubourg e Palais de Tokyo dedicano monografiche rispettivamente a Pierre Huyghe e Philippe Parreno.

«Liberi tutti!» coglie insomma pienamente lo spirito dei tempi, e lo fa con una ricognizione curiosa e onnivora, un po' come nel carattere di Luca Beatrice. Senza tentare gerarchizzazioni di valori, e ambendo anzi a rappresentare una scena il più possibile sfaccettata, dove il recupero della pittura dell'Officina Milanese in cui hanno mosso i primi passi le personalità di Petrus, Papetti, Frangi, Pignatelli e Velasco, convive con le formule concettuali degli artisti di Lazzaro Palazzi e (ma qui ci spingiamo a ridosso del cambio di millennio) con il gruppo di via Fiuggi, in una scena su cui incidono con egual influenza Fabro, Jole De Sanna, Testori e Garutti, senza la prevalenza dell'uno o dell'altro, con Brera che è ancora un luogo di marcato orientamento della cifra espressiva. E se con il Medialismo teorizzato dal napoletano Gabriele Perretta si assiste al tentativo di inquadrare in una griglia critica onnicomprensiva esperienze diverse - dal pop all'arte concettuale, da Torino a Bologna - la regola è invece costituita da artisti difficilmente inquadrabili, sfuggenti e inclini a una poetica indecifrabile ed evanescente, descritta con l'inchiostro simpatico: da Mario Airò a Stefano Arienti, da Massimo Bartolini a Vedovamazzei - e con la sola eccezione di Luca Vitone - non è certo l'epoca degli artisti massimalisti, e non è facile rintracciare alle nostre latitudini gesti clamorosi alla Kiefer.

Non a caso figura emblematica di quella stagione resta Maurizio Cattelan, Bernini dello sberleffo, senza scuola e a oggi senza eredi, nelle cui opere e performance in molti hanno voluto leggere un parallelo della carriera politica di Silvio Berlusconi. Lo scatto di Armin Linke del 1995 che ritrae Cattelan disteso sulla schiena, con le braccia e le gambe in alto, come un cane che scodinzola, è un potente concentrato della visione antieroica e clownesca che l'artista patavino ha portato in un mondo dove i critici - la parrocchia di Flash Art , equivalente in quegli anni a un Maurizio Costanzo Show del contemporaneo, e, come unica alternativa, l'eresia altrettanto conformista di Tema Celeste - cercavano di riprendere il sopravvento e di tornare a contare più degli artisti.

Ironia e leggerezza, ricorrente in molti degli oggetti e delle opere di «Liberi tutti!», sono forse quel che rimarrà degli Anni Novanta, età senza crolli e senza grandi ambizioni.

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