Cultura e Spettacoli

Più rissoso che pacifista Ecco il Russell privato

Democratico in piazza ma iracondo con i muratori. Scientifico nei libri ma incapace di farsi un tè. Antiamericano e antisovietico. La vita quotidiana del filosofo gallese

Più rissoso che pacifista Ecco il Russell privato

In due, lo aiutano a scendere dall'auto. Uno dei due gli dice: «La sedia è dietro di lei, si sieda pure». E lui: «Vi aspettate che mi sieda sull'aria eh?».

Non è che Bertrand Russell fosse scettico, come dicono i manuali di filosofia. Piuttosto, non nutriva una gran fiducia negli altri. È diverso: se sei scettico, dubiti ; se non hai fiducia negli altri, sei sicuro di non averla. E pensare che quei due che lo aiutavano a scendere dall'auto quando lui, il 29 agosto del 1969, aveva già spento, con un po' di fatica, 97 candeline, pendevano letteralmente dalle sue labbra sottili, quasi da rettile. A pensarci bene, «Vi aspettate che mi sieda sull'aria eh?» potrebbe anche esser stata una battuta delle sue, in puro stile british, da interpretare più o meno così: «Vecchio come sono credete forse che sia già un angelo del Paradiso e mi sieda su una nuvola?». Se non fosse che lui al Paradiso non credeva. Perché Bertrand Russell, ed ecco un'altra cosa che i manuali di filosofia insegnano, era ateo, e credeva ( pardon , pensava) che tutti dovessero, ragionevolmente, esserlo.

L'episodio della “sedia che c'è-sedia che non c'è” è uno fra i tanti messi in fila da uno dei due adepti, Rupert Crawshay-Williams, in Bertrand Russell. Ricordo di un'amicizia (Castelvecchi, pagg. 184, euro 19,50, traduzione di Bruno Oddera). È passata un'eternità dalla prima edizione italiana di questa non-biografia, di questo non-saggio, insomma, di questo semplice, commosso e commovente omaggio al Venerato Maestro. Uscì nel '71 da Longanesi con il titolo Il mio amico Bertrand , a un anno dalla morte del rissoso, irascibile, carissimo Bertie.

Ed è una lettura consigliabile sia ai giovani di allora sia a quelli di oggi, sia ai sessantottini pentiti o riciclati, sia, per esempio, ai pentastellati in attesa di pentimento e riciclo. Serve a capire che il leader, il capo carismatico, l'icona da esibire nelle piazze, è soltanto una faccia della medaglia. Dietro c'è quella privata. Dietro, nel caso specifico, c'è l'insofferenza nei confronti degli stessi adulatori-adepti-seguaci. C'è l'individualismo logico-matematico di un tale che, pur difendendola a spada tratta in ogni occasione, non se la sentiva di dar troppo credito alla democrazia. Sentite qua: «Non si riuscirà mai a far funzionare in Africa un governo democratico». «Dobbiamo consentire ai nostri avversari di pensare... se possono». «Tutti i russi sono imperialisti e barbari orientali».

Quando Rupert Crawshay-Williams, di 36 anni più giovane di lui, lo conobbe, Bertie, archiviate un paio (o tre?) di mogli, era già il manifesto vivente della libertà di pensiero. Quindi poteva permettersi, specialmente dopo un paio di whisky leggermente annacquati che erano la sua dose congrua e lontano dai microfoni e dalle telecamere, di non mandarla a dire a nessuno, fosse il primo ministro o un carpentiere. A proposito, emblematica la sua sfuriata contro il capo cantiere e l'architetto che facevano flanella nella ristrutturazione della sua casa a Ffestiniog, in Galles. Bertie gliene disse di tutti i colori, urlando come un pazzo e agitando la chioma bianca. Poi, rivolgendosi serafico a Crawshay-Williams e a sua moglie Elizabeth che gli chiesero se non pensasse di aver esagerato, commentò: «Certo che sono stato ingiusto. Era la sola cosa da fare... il solo modo per ottenere qualcosa». In cuor suo, il pacifista ma iracondo Russell riteneva che il popolo fosse proverbialmente bue. Se ne convinse in occasione della prima guerra mondiale, quando vide che la voglia di menare le mani in giro per il mondo non era soltanto un tragico errore dei governi, ma anche, e soprattutto, un insopprimibile impulso delle masse.

Quanto alla seconda, di guerra mondiale, in pratica non era ancora finita che lui già ne intravedeva un'altra: «Credo che la terza guerra mondiale comincerà il prossimo mese di maggio», scrisse, nella camera caritatis di una lettera, il 3 dicembre 1950. Anche i geni sbagliano, per fortuna. La guerra lentamente si raffreddò, e Bertie, da buon bastian contrario, si riscaldò al punto da ustionare a fin di bene l'opinione pubblica a margine della minaccia atomica. I sinceri democratici del tempo lo consideravano uno dei loro, ma forse non sapevano che, per quanto gli Stati Uniti non fossero in cima ai suoi pensieri, l'Unione Sovietica lui la confinava senza appello nello scantinato dell'ignominia. Altro che disarmo unilaterale: secondo Bertie l'America doveva battere il ferro caldo del primato tecnologico per stroncare sul nascere le velleità dell'avversario!

Ho detto primato tecnologico? Sì, ma quello degli altri, non certo il suo, imbranato com'era. Un giorno Rupert ed Elizabeth lo lasciano solo in casa verso le quattro del pomeriggio, l'ora in cui, cascasse il mondo, Bertie doveva prendere il tè. Prima di uscire, Elizabeth gli consegna un foglietto con le istruzioni per farselo da solo, quel benedetto tè. Ma quando i due tornano dalle loro commissioni, trovano Bertie seduto in un angolo con aria contrita: non era riuscito a farsi il tè e si vergognava come un ladro. L'uomo che aveva spiegato al mondo I principi della matematica , era stato umiliato da un bricco.

Se volete saperne altre sulla seconda faccia di Bertrand Russell, la medaglia vivente al valor civile e alla razionalità del Novecento, leggete questo libro. Ma toglietevi subito quel sorrisetto ironico. Il Bertrand Russell di tutti i giorni è quello che, dopo la trasferta in Svezia per prendersi il Nobel per la letteratura, nel '50, confessa agli amici: «È bello essere trattato come un albero di Natale!». Se ha raccontato qualche palla colorata, lo ha fatto per una giusta causa, consapevole del fatto che un conto è la scienza esatta, un altro la vita di tutti i giorni e un altro ancora la sopravvivenza del pianeta. «Nessuno sostiene con fervore che sette per otto fa cinquantasei, perché può essere dimostrato che è così. Il fervore è necessario soltanto quando si loda un'opinione che è dubbia o dimostrabilmente falsa».

Detto dal rissoso, irascibile, carissimo Bertie è una bella lezione di realismo.

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