Cultura e Spettacoli

La polemica

Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del secolo scorso, i libri su Marx e il marxismo costituivano una fetta cospicua della produzione delle case editrici e del mercato librario; oggi, invece, quando viene pubblicato un libro su Marx è un po’ un avvenimento. E anche qualche superstite autore marxista non può sottrarsi all’obbligo di spiegare perché la fortuna di Marx e del marxismo, un tempo possente, abbia poi subito (a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta) una disfatta rovinosa. Così Nicolao Merker, che ha appena pubblicato da Laterza Karl Marx. Vita e opere (pagg. 266, euro 18), riconosce, in un capitoletto intitolato «È possibile un bilancio?», che nessuna delle grandi previsioni del fondatore del socialismo «scientifico» si è avverata. «In Occidente - dice l’autore - una rivoluzione socialista non riuscì né al proletariato postulato da Marx né alle masse progressiste immaginate dal tardo Engels. In Russia ne furono protagonisti propriamente non i proletari, ma i soldati nel contesto della guerra; e né Marx né Engels l’avrebbero chiamata una rivoluzione socialista». Inoltre Marx fece del proletariato un soggetto idealizzato o addirittura mistico. «Una missione universale - dice Merker - veniva affidata a una classe la cui memoria lavorativa plurisecolare non era affatto universale, era di tutt’altro genere, oltre a intrecciarsi con ovvie tradizioni ideologiche passatiste. La si proiettava verso grandi compiti da assolvere, come unica protagonista salvifica, in un futuro misurabile e dentro rapporti di forza sociali e politici, nazionali e internazionali, assolutamente non calcolabili». Inoltre Marx si è sbarazzato con stupefacente semplicismo del problema dei diritti individuali. «Cosa succederà infatti nella società senza classi, un ideale pur sempre regolativo, anche se collocato in un futuro indeterminato? Scomparse le classi, neanche lo Stato esisterà più. Dovrà tuttavia esserci un insieme di regole da rispettare e far rispettare, tra cui, certo, i diritti sociali. E non forse, nuovamente, anche un complesso di diritti individuali da garantire con pari rigore? A cominciare da quello essenziale della libertà e uguaglianza dell’individuo nel suo partecipare alla gestione della collettività». Ma il problema dei diritti individuali fu trascurato da Marx e da lui gettato nel cestino della carta straccia. Merker avrebbe potuto aggiungere che anche la previsione marxista dell’estinzione dello Stato e della politica in una società industriale sempre più complessa e per la quale Marx esigeva una pianificazione complessiva, era una previsione intrinsecamente contraddittoria (come Hans Kelsen mostrò in un libro importante: Socialismo e Stato).
Sorte migliore non hanno gli altri concetti «scientifici» di Marx, a cominciare da quello di «plusvalore», che è di origine ideologica (nel senso negativo della parola), come mostrarono acutamente Boehm-Bawerk e Croce. Così come era sbagliata la tesi marxiana della progressiva “semplificazione” della società capitalistica, dove sarebbero scomparsi progressivamente i ceti intermedi (piccoli agricoltori, piccoli industriali, commercianti ecc.) e alla fine sarebbero rimaste solo due classi: una, amplissima, di proletari, e una, ristretta, di capitalisti. Che questa previsione fosse completamente sbagliata è oggi sotto gli occhi di tutti, ma fu rilevato assai per tempo, poco dopo la morte di Marx, dal padre del “revisionismo”, Eduard Bernstein, e poi, nel Novecento, fu documentato da un grande sociologo come Raymond Aron.
Ho citato alcuni grandi critici di Marx e del marxismo (Boehm-Bawerk, Croce, Kelsen, Aron, per non dire di Schumpeter e di Lichtheim, e, fra i filosofi, di Gentile e di Colletti). Senonché, nessuno di questi nomi figura nella pur amplia bibliografia che Merker dà alla fine del suo libro e che utilizza nel corso delle sue pagine. Vengono citati studiosi modesti e anche trascurabili, ma quei grandissimi no. Perché? Perché Merker, che è studioso di rango, e che su qualunque altro argomento non si permetterebbe mai omissioni così gravi, «crede» nel marxismo, ovvero è di «fede» marxista. Egli ritiene infatti che Marx, nonostante alcuni (!) limiti, sia colui che ha scoperto e spiegato lo «sfruttamento dell’uomo sull’uomo» e che ha indicato la strada per il suo superamento. Dunque, Marx sarebbe il massimo teorico «dell’emancipazione umana» (con un piccolo, piccolissimo neo: non si è minimamente preoccupato dei diritti individuali). Avendo questa «fede», Merker è convinto (come la sua bibliografia dimostra) che su Marx ci siano dei libri «buoni», da ammettere nelle biblioteche, e dei libri «cattivi», da non ammettere nelle biblioteche, e da non citare, da non tenere presenti, da non discutere. Questa è, francamente, una brutta cosa, che fa nascere un preciso sospetto.

Che nel marxismo ci sia il germe dell’intolleranza.

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