Cultura e Spettacoli

Premio Campiello, Doninelli e Tarabbia tra i finalisti

In corsa anche Rasy, Bertante e Vinci. Lunghe votazioni (e polemiche) per decidere i romanzi che entrano in cinquina

Premio Campiello, Doninelli e Tarabbia tra i finalisti

Sofferta e insofferente, solo a tratti divertita: è stata sfida all'ultimo voto per la Giuria dei Letterati che ha eletto i cinque finalisti della 54esima edizione del Premio Campiello, a Palazzo del Bo ieri mattina a Padova. Presieduti da Ernesto Galli della Loggia, i dieci giurati che contano tre nuovi ingressi: Roberto Vecchioni, Stefano Zecchi, Emanuele Zinato hanno atteso dieci giri di voto per decidere che alla Fenice il 10 settembre se la giocheranno: Elisabetta Rasy, con Le regole del fuoco (Rizzoli, unica entrata al primo giro con i sette voti necessari), Alessandro Bertante, con Gli ultimi ragazzi del secolo (Giunti), Simona Vinci e il suo Le prime verità (Einaudi), Luca Doninelli con Le cose semplici (Bompiani) e, litigatissimo al ballottaggio dopo quasi un'ora di rimbalzi con Filippo Tuena e il suo Memoriali sul caso Schumann (Il Saggiatore), il fanalino di coda Andrea Tarabbia e Il giardino delle mosche (Ponte alle Grazie).

Molto polemici, i Letterati 2016, senza freni contro quasi tutto e tutti. Luigi Matt: «Dei 230 volumi che ci sono arrivati quasi tutti mancano di specifico letterario. Gli autori sono troppo impegnati a scrivere per aver tempo di leggere letteratura. Storie consolatorie, ricalcate sulle notizie del telegiornale, scritte con un linguaggio da giornalismo corrivo». Ermanno Paccagnini: «Ho dovuto staccare il cellulare per bloccare le segnalazioni, innumerevoli le mail che mi dicono: Questo è il nostro candidato. Confondono il Campiello con lo Strega. Troppi i libri gne gne, scritti da professori». Vecchioni: «230 sono troppi. Quindi non ho letto: i più lunghi di 300 pagine, gli storici e i biografici perché che me ne frega a me di Schumann, le lotte tra bene e male, le storie di gente che viene e va per l'Italia, gli eroismi, le resistenze, i disastri umanitari. Ne sono rimasti 15, che ho apprezzato moltissimo». Zecchi: «Ora ho la certezza che la letteratura non esiste più. Inoltre ho profondo fastidio verso questa giuria di eterni: si metta mano allo statuto e ci si tolga questa idea che il giurato Campiello è più inossidabile dello sposo per la madre Chiesa».

Illustri esclusi, anche se nominatissimi: Caterina Bonvicini, Marcello Fois, Romana Petri, Carla Vasio, Andrea Kerbaker.

Premio Opera Prima al giallo surreale La teologia del cinghiale (Elliot) di Gesuino Némus, pseudonimo di un imprenditore dell'Ogliastra.

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