Cultura e Spettacoli

Un prigioniero «piccolo piccolo» finito a Dachau

Un prigioniero «piccolo piccolo» finito a Dachau

Se sono tante, e a ragione, le memorie e i saggi sui campi di concentramento dove vennero sterminati gli ebrei, sono pochi i libri che ricordano quei campi dove i tedeschi chiudevano i prigionieri di guerra. La differenza emotiva è chiara: nei primi si sterminava un popolo, scientificamente, nei secondi si sfruttavano i nemici per farli lavorare. Ma a leggere questo libro, la differenza stava solo nell'esito finale, l'odio e la brutalità erano identici, e tali che spesso si concludevano con la morte del prigioniero.

Questa di Antonio Morelli è dunque una testimonianza preziosa, e bene ha fatto Carmine Mastroianni a trascriverla senza enfasi, scegliendo il taglio (difficile) del racconto in prima persona, senza rinunciare alla documentazione e alla ricerca. Proprio quella mancanza di enfasi finisce per rendere più tragica la storia di un uomo piccino piccino travolto da una vicenda crudelissima. Antonio non è un eroe, ma un uomo che alla fine cerca soprattutto di salvare la propria pelle (non si maschera neanche oggi, quasi centenario), e questo finisce per aggiungere alla pena verso di lui, una vera simpatia. Fa tenerezza quel suo mettersi sempre al centro dei gruppi, bassetto com'era, per cercare di evitare bastonate e colpi di frusta. Non è possibile che gli autori di memorie siano tutti eroi, ci mancano gli uomini comuni, i più.

Viene subito il sospetto che non sia stata ingiusta quella condanna per autolesionismo - un proiettile alla mano, tale da non spezzare ossa e nervi - che gli procurò la condanna a vent'anni di carcere militare e, dopo l'8 settembre, la caduta in mano ai tedeschi. E si capisce (né lui tenta di far credere il contrario) che, quando decise di non arruolarsi con loro, non fu per fedeltà al giuramento dato, o per una scelta ideale e politica, ma perché rimanere prigioniero gli sembrava meno pericoloso di tornare a combattere. Invece eccolo su un treno - il solito carro-bestiame - diretto a Dachau: «Pensavo alla reale possibilità di fuga, ma nello stesso tempo c'era l'angoscia che bloccava gambe e braccia. Non avevamo più a che fare con gli italiani, ma con della gente che in più di un'occasione si era mostrata spietata e pronta a uccidere per un niente».

Il resto è una storia di ordinaria mostruosità durata diciannove mesi, da Dachau a Mathausen, che dà al lettore la possibilità di riflettere su come il dolore sia uguale per tutti, e per tutti così diverso, e su come un uomo che avrebbe voluto soltanto vivere in pace si possa trovare - travolto dalla Storia - dentro un inferno.

Morelli dice, nelle sue conclusioni con il cuore, di sperare che la sua vicenda serva a far sì che «mai più nessuno abbia a sperimentare il male nella sua più crudele essenza». Sappiamo che non sarà così, che la Storia - famosa maestra di vita - insegna in una classe di ripetenti pronti a ripetere ancora. Ma è giusto provarci.

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, l'introduzione di Giordano Bruno Guerri al libro di Carmine Mastroianni Il fabbricatore di ali ( Edizioni Efesto, pagg.

132, euro 12) in uscita in questi giorni.

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