Cultura e Spettacoli

Qualcuno arresti i detective che hanno invaso le librerie

Ogni nazione, ogni città, ogni rione ha il suo ispettore stereotipato Ne escono thriller dagli effetti grotteschi e dai risultati comici

Qualcuno arresti i detective che hanno invaso le librerie

Quanti di noi da piccoli sognavano di fare il commissario di polizia? Quanti nella vita reale ne conoscono uno in carne e ossa? Quanti vorrebbero averne uno sempre accanto, nella propria cerchia di amici? Stando al proliferare, in questi decenni, di romanzi incentrati sulla figura di un commissario, verrebbe da dire: tutti. Non c'è personaggio più amato dai lettori. Non c'è figura meno familiare nella vita quotidiana eppure così comune nei libri che leggiamo. Come se ci si imbattesse in commissari a ogni angolo di strada. Come se il mondo traboccasse di ispettori, detective privati, segugi dal fiuto infallibile. Tutti (o quasi) invariabilmente intelligenti o intuitivi, schietti, abbastanza affidabili, romantici, divertenti, e - perché no? - perfino un po' filosofi, malgrado un certo caratterino e qualche perdonabile vizio. Abbiamo imparato a conoscere quelli nordici, che si muovono fra dialoghi laconici, tormente di neve, fiordi mozzafiato e atmosfere rarefatte (l'inquieto commissario della polizia di Ystad Kurt Wallander, uscito dalla prolifica penna di Henning Mankell; l'ispettore Patrik Hedstrom in accoppiata con la seducente scrittrice Erica Falck, della fortunata serie ideata da Camilla Läckberg; o gli irregolari di Stieg Larsson e della sua trilogia Millennium ).

Quelli di area spagnola, ovviamente di tutt'altro temperamento (il Pepe Carvalho di Manuel Vasquez Montalbán; l'ispettrice della polizia barcellonese Petra Delicado, uscita dalla fantasia di Alicia Giménez-Bartlett, dura e idealista come solo le donne sanno essere, sarcastica quanto basta, con due matrimoni falliti alle spalle e uno nugolo di ragazzini di cui occuparsi tra un'indagine e l'altra; nonché i grotteschi investigatori di Eduardo Mendoza). E quelli nostrani, tutti coi loro tratti distintivi appiccicati addosso come nel gioco «Indovina chi?», dove a partire da un personaggio di base stilizzato ciò che cambia sono solo barba, baffi, occhiali, capigliatura, colore degli occhi, forma delle labbra e così via. Ce n'è per tutti i gusti: il commissario charmant, quello imbranato, quello sulla soglia della pensione, quello stanco, quello politicizzato, quello disilluso e cinico; e perfino quello che viaggia nel tempo (l'inquisitore Nicolas Eymerich ideato da Valerio Evangelisti). E poi un'infinità (ogni giorno di più) di detective sui tacchi a spillo, avvocati penalisti infallibili, giornalisti caparbi, anatomopatologi dal fiuto prodigioso. Si direbbe ci siano più commissari nei libri che in natura.

Camilleri è diventato celebre grazie all'arcinota figura di Montalbano. Marco Vichi, narrando le gesta del suo scarno commissario Bordelli, scapolo cinquantenne, ex partigiano, confidente di ladri e prostitute, che opera nella Firenze degli anni Sessanta. E pure Filippo Bologna (sì, pure lui!), scrittore raffinato che finora non aveva mai dato segni di conversione al giallo, all'improvviso si è deciso a regalarci il suo commissario, Dino Santini, che opera in Versilia in sella a una Bianchi Sprint acquamarina. Per non parlare di Carlo Lucarelli, che in tre serie distinte ha sfornato altrettanti investigatori: il commissario De Luca, che agisce durante i giorni drammatici della Repubblica di Salò e negli anni immediatamente successivi alla sua caduta; l'ispettore Coliandro, poliziotto imbranato e testardo attivo nel bolognese fino a qualche annetto fa; e (immaginiamo per par condicio) l'ispettrice Grazia Negro, protagonista di una serie di romanzi tra cui il fortunatissimo Almost Blue , vicenda delittuosa portata sugli schermi da Alex Infascelli. E, per tornare ai detective in gonnella, Grazia Verasani, nel 2004, con Quo vadis, baby? , ci regala un noir con protagonista l'investigatrice privata Giorgia Cantini, da cui Gabriele Salvatores ha tratto l'omonimo film. E come tacere i polizieschi storici, con in cima alla lista Danila Comastri Montanari e il suo investigatore Publio Aurelio Stazio, senatore nell'antica Roma. Per non dire di Margaret Doody, che fa indossare gli improbabili panni dell'investigatore al povero Artistotele; e di altri polizieschi nei quali perfino a Cartesio, Dante e Immanuel Kant (per nominarne solo alcuni) viene appioppato il ruolo del detective. Senza contare tutti i commissari in attesa di pubblicazione, che premono per venire alla luce, rinchiusi nelle migliaia di dattiloscritti che ogni giorno sommergono le redazioni delle case editrici: ciascuno con le proprie idea di commissario da far conoscere ai lettori, molti dei quali destinati a non divenire mai noti al grande pubblico. Ma veniamo a come tutto è cominciato, al colpevole di questa invasione di commissari, di questa devastante epidemia di investigatori. Il primo poliziesco è considerato La pietra di luna di Wilkie Collins, del 1868. Ma la prima figura letteraria di detective è Auguste Dupin, compassato consulente della polizia parigina dalle strabilianti capacità deduttive, nato dalla fantasia di Edgar Allan Poe e capace di risolvere i casi standosene comodamente seduto in poltrona. A questo personaggio magistrale si ispirò Arthur Conan Doyle per il suo celeberrimo detective violinista e morfinomane Sherlock Holmes. Al quale qualche tempo dopo fece da contraltare Arsène Lupin, ladro gentiluomo uscito dalla fervida mente di Maurice Leblanc, protagonista di detective-story al contrario. Da lì in poi è stato tutto un susseguirsi di commissari, ispettori, detective privati, giornalisti indagatori, avvocati-segugio e così via. Da Hercule Poirot (e le sue proverbiali cellule grigie) di Agatha Christie al pachidermico («un settimo di tonnellata») Nero Wolfe del maestro del genere poliziesco Rex Stout, investigatore privato di origine montenegrina che opera per lo più a New York, raffinato, buongustaio, pignolo, misogino, amante delle orchidee. Dal dandy Philo Vance, di S.S. Van dine, a padre Brown, investigatore in abito talare uscito dalla penna di G.K. Chesterton. Dal formidabile detective privato Philip Marlowe (antesignano di numerosissimi futuri investigatori) del compianto Raymond Chandler, al corpulento bevitore di Pernod nonché accanito fumatore di pipa che risponde al nome di Jules Maigret, commissario al Quai des Orfèvres di Parigi, scaturito dalla elegante penna di Georges Simenon. Da don Isidro Parodi del coltissimo duo argentino Borges-Bioy Casares, che risolve i casi nientemeno che dalla cella di una prigione, all'ispettore uscito di senno della Promessa di Friedrich Dürrenmatt, vero e proprio anti-poliziesco (dove ogni deduzione pare non condurre da nessuna parte e l'identità del colpevole finisce per essere un elemento quasi trascurabile della vicenda). Dall'impareggiabile Alligatore di Massimo Carlotto (eccentrica figura di latitante-detective che interviene in situazioni a cui la polizia non ha accesso) ai pensionati ficcanaso del BarLume di Marco Malvaldi. E poi le accoppiate da Duca Lamberti/Giorgio Scerbanenco fino a Ricciardi/Maurizio de Giovanni. Centinaia di impavidi investigatori che operano nei mille rivoli e sottogeneri in cui il genere poliziesco si è frantumato nel tempo. Un paradiso per chi non ne ha mai abbastanza.

Un piccolo inferno per tutti gli altri. Ci saranno però abbastanza criminali per tutti questi commissari?

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