Cultura e Spettacoli

Quando Queneau chiese: chi è quella puttanella?

Così definì la sua futura moglie. E Joyce ne fece di tutti i colori a Proust

Quando Queneau chiese: chi è quella puttanella?

Si narra che Raymond Queneau, un giorno, a Parigi, siamo nel 1927, in un riunione surrealista vede al tavolo una nuova ragazza. «Chi è quella puttanella?», chiede ad alta voce. Era Janine Kahn, cognata di Breton. L'anno dopo l'avrebbe sposata.

Prosper Mérimée, invece, aveva convinto una donna gobba a scrivere a Stendhal una lettera d'amore, chiedendogli un appuntamento. L'altro ci casca e, quando la vede, se ne va infuriato urlando: «Che Mérimée si tenga le sue conquiste!». Mentre quando Balzac, a Milano, decide di fare visita a Manzoni, comincia a spiegargli come potrebbe scrivere romanzi di successo invece del maldestro Promessi sposi... L'atmosfera si fa gelida, e Balzac se ne va.

Poi c'è la storia della rottura dell'amicizia tra V.S. Naipaul e Paul Theroux. Legatissimi, finirono col litigare per gelosie varie, ma il colpo di grazia arriva quando Theroux trova in un catalogo di libri vecchi una copia di un suo libro dedicato «Con amore» a Naipaul e alla sua prima moglie. Offesissimo, Theroux si vendica pubblicando, nel 1998, Sir Vidia's Shadow, un ritratto al vetriolo dell'ex amico, descritto come sadico, puttaniere, ingeneroso. E poi c'è la serie di figuracce raccolte, anni fa, nell'antologia Mortification (uscita per Guanda come Le umiliazioni non finiscono mai, 2005): Jonathan Coe che è costretto a strisciare carponi per lasciare uno studio tv senza passare davanti alle telecamere, col pubblico che lo deride; André Brink che a una festa chiede informazioni al suo editore su chi avesse invitato «quella donna orribile» senza sapere che si trattava della moglie; Irvin Welsh, al quale deve essere capitato anche di peggio allo stadio di Wembley per meritarsi l'appellativo «Cagamutande»...

Questo per dire che le «figuracce» di Ammaniti&Co. narrate nella omonima antologia sono proporzionate, per grandezza, ai loro autori. Nanetti, ai piedi dei giganti. Come, fra i tanti, Joyce e Proust. I due scrittori si incontrarono solo una volta, nel '22, a una cena mondana al Ritz. Joyce arrivò in ritardo e senza smoking. Proust tenne la sua pelliccia per tutta la sera. La loro conversazione si limitò unicamente alla parola «No» (tipo: una signora al tavolo chiede a Proust se aveva letto questo o quel passaggio dell'Ulisse. Proust dice: «No»). Comunque: dopo cena, Proust prende un taxi e senza chiedere il permesso sale anche Joyce. Prima apre il finestrino, poi accende una sigaretta: due gesti insopportabili per Proust. Non si videro mai più.

Ah, a proposito di Joyce. Mesi fa, a una radio italiana, il conduttore cita James Joyce, e la showgirl Laura Barriales saluta lo scrittore «che sicuramente ci sta ascoltando». Ma questo non c'entra niente. Tornado, invece, ai nani, viene in mente Edoardo Nesi che quando era deputato di Scelta Civica (prima di passare con Renzi) in un pezzo su Repubblica, parlando dei simboli di Prato scrisse che il pulpito del Duomo fu «affrescato» da Donatello.

Da cui la perifrasi una «figuraccia fresca fresca».

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