Cultura e Spettacoli

Quando gli «Scarti» rottamano il tuo ego

E x editorialista del New York Times , Jonathan Miles ha esordito nel 2008 con Dear American Airlines , un romanzo ancora inedito in Italia che vede protagonista un poeta e traduttore fallito che si trova ad aspettare per ore in aeroporto un volo poi cancellato. Lo avrebbe portato al matrimonio della figlia e con questo espediente Miles, sotto forma di lettera, scrive una dura invettiva contro le assurdità del mondo contemporaneo, contro le «coincidenze» sbagliate della vita, riuscendo attraverso la visione di un artista mancato a regalarci pagine che sono radiografie sociali. Adesso Jonathan Miles debutta in Italia con Scarti (traduzione di Assunta Martinese, pp. 576, euro 18, Minimum Fax), un altro romanzo che ha come obiettivo di scardinare le nostre più consolanti convinzioni sociali.

Nato nel 1978 a Cleveland, Ohio, cresciuto a Phoenix, Arizona, e studente a Oxford, Mississipi, Miles è l'erede di quella tradizione degli Stati Uniti del Sud guidata da William Faulkner, ma coniugata con la furbizia dei nuovi scrittori più scafati, come il Jonathan Franzen del sopravvalutato Le correzioni . È infatti a New York, dove vive, che Miles ha ambientato il suo Scarti , incensato all'unanimità dalla stampa americana. In effetti quello di Miles è uno dei migliori romanzi americani pubblicati quest'anno in Italia. Certo la struttura narrativa è complessa, in molti passaggi non è tra le letture più facili, ma la scelta dello scrittore di virare su un'architettura complessa dei protagonisti risulta vincente: cosa c'è di più esaltante per un lettore vero che perdersi tra le pagine per poi ritrovare se stesso? Miles ha scelto di raccontare l'America vista attraverso i suoi «scarti», attraverso i tanti segreti che possono rivelare i rifiuti che ogni giorno buttiamo via.

Il romanzo è una grande metafora non solo di una nazione come gli Usa che rischia di buttarsi via, ma anche sulla paura che i protagonisti provano alla sola idea dell'abbandono. Protagonisti che sono due «freegani» - persone che ci cibano degli scarti delle industrie alimentari, ristoranti, nutrendosi solo di alimenti di provenienza non animale (da «free», gratis e «vegan», vegano)-; Elwin Cross, un docente universitario di linguistica, obeso, abbandonato dalla moglie e con il padre malato di Alzheimer e poi Sara, una donna quarantenne che solo dopo la morte del marito, avvenuta durante l'11 Settembre, scopre che la tradiva. In esistenze accomunate dalla percezione che la vita sia solo «una futilità contrapposta a un'altra» Miles descrive «un'anatomia del riciclaggio» che solo in apparenza può apparire pessimista. Certo è un romanzo indubbiamente drammatico ma venato di un'ironia rara a queste altezze narrative.

Il «rifiuto» del mondo diventa una rottamazione del proprio io, un motivo per rinascere tra le macerie morali di una società dove tutto non è ancora rovina e in cui gli «scarti» (sia quelli materiali che quelli spirituali) più che da abbandonare, sono un bene da custodire.

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