Cultura e Spettacoli

Quel «sale rosa» che fa bruciare le ferite della vita

Se gli unici scrupoli che hai riguardano il civile, il penale e la buona educazione. Se pensi che una schiacciante carriera fatta da sola ti ripagherà di una famiglia padre-madre-fratello di tipo passivo-aggressiva-parassita. Se la programmazione e il controllo della tua vita sociale e dei rapporti sentimentali e digitali (la tua presenza sui social network si riduce a un avatar che sfrutti solo per infiltrarti nei profili che contano) ha echi ossessivo-compulsivi. Se non credi né alla fortuna al gioco né a quella in amore e tratti i «gratta e vinci» con la stessa indifferenza dei passati fidanzati. E soprattutto se sei consapevole - a trent'anni, sola in una città che non è la tua e senza un uomo fisso - di essere fatta così e anzi di voler diventare perfetta nell'esserlo, allora sai sempre calcolare i minuti che ti servono per qualsiasi azione quotidiana.
Giada Carrara lo sa, che ci vogliono 50 minuti per andare in metrò alla Rinascente a prendere Il sale rosa dell'Himalaya (Bompiani, pagg. 182, euro 17), minerale sopraffino che regala a Camilla Baresani l'ultimo dei suoi inimitabili titoli di romanzo. Giada esce di casa con l'abito della cena che ha in programma di offrire a un ospite importante, ombrello, cellulare e borsa. Perderà tutto. E non tornerà entro 50 minuti, ma dopo 31 giorni di sequestro in mano a due «mostri» alcolizzati, Yon e Dimitru, che la tengono legata con il fil di ferro per abusarne in una baracca isolata ai confini della civiltà. In mezzo ci passano le reazioni della Milano e della Bergamo bene, figure chiave della contemporaneità fatta di pubbliche relazioni, domestiche e portieri extracomunitari, colleghi anestetizzati dal workaholism e poliziotti non più divisi tra buoni e cattivi, ma tra onesti e cinici.
Entrare nei flussi di coscienza di tutti sarà uno spiazzante e goloso gioco al massacro: chi è il vero sociopatico, il disumano, l'alienato, il mostro? I barboni disperati che violentano Giada o la massa dei suoi pseudoamici-colleghi-familiari-giornalisti a cui di questa biondina slavata pare importare solo se portatrice di vantaggi o danni di immagine? Nella prima metà, Baresani riesce a farci sentire «gli altri». Giada è una furbetta respingente: la sequestrano e non piange, la violentano e non piange, ha freddo e fame e non piange. Dovremmo averne pietà, ma ci sorprendiamo a pensare che le sta bene. Poi noi diventiamo Giada. E lo saremo fino al gran finale, che rende accettabile a lei e a noi l'essere semplicemente imperfetti.

Cioè umani.

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