Cultura e Spettacoli

"Questa vecchia Italia non è un Paese per giovani storici"

L'autore di molti libri fuori dal coro lancia l'allarme: "Se non sei una firma nota, non pubblichi. E le Fondazioni pendono a sinistra"

"Questa vecchia Italia non è un Paese per giovani storici"

La crisi generale si ripercuote in molte crisi particolari. Una di esse è la crisi dell'editoria che purtroppo non è una vuota e interessata lamentela ma una triste realtà, come dimostrano le statistiche che registrano un calo vertiginoso di lettori. Luciano Lucarini, che con la casa editrice Pagine ha al proprio attivo molte riviste di livello universitario, ha deciso di rilanciare una sua testata, Historica , che oggi con il nome di Nova Historica e la direzione di un comitato direttivo di cui è presidente il professor Giuseppe Parlato, è certamente qualcosa di appetibile nell'asfittico panorama delle riviste accademiche. Abbiamo posto alcune domande a Giuseppe Parlato, docente di Storia contemporanea alla Università degli Stati Internazionali di Roma di cui è stato rettore quando si chiamava Università S. Pio V, autore di saggi come La sinistra fascista (Il Mulino, 2000), Fascisti senza Mussolini (Il Mulino, 2006), Mezzo secolo di Fiume (Cantagalli, 2009) e Gli italiani che hanno fatto l'Italia (Eri-Rai, 2011).

Professor Parlato, da docente universitario in Storia contemporanea, come vede la condizione dello storico oggi?

«Per un certo verso, oggi è più facile fare lo studioso di storia, grazie alla tecnologia che ha abbreviato i tempi di lavoro; penso alla comodità, ad esempio, di avere gli atti parlamentari visibili on line da casa, mentre una volta occorreva andare in biblioteca. Per un altro verso, invece, è più difficile, perché la tecnologia riduce l'interpretazione libera, articolata e complessa a favore di quella semplificata e, al limite, banalizzata. In ogni caso, oggi è più facile l'adesione al politicamente corretto, che è l'interpretazione prevalente su internet».

Qual è oggi, secondo lei, il rapporto dei giovani con la storia?

«Si tratta di un rapporto, anche qui, ambiguo. Da un lato i giovani cercano la storia, non si accontentano delle vecchie interpretazioni. Dall'altro, invece, quelli che vorrebbero occuparsene trovano problemi inediti. Nelle università i fondi per la ricerca si sono ridotti e, in ogni caso, è privilegiata la cultura scientifica e tecnica, quella “utile” e spendibile, rispetto a quella umanistica. Le case editrici pubblicano libri ormai a spese degli autori, soprattutto se sono giovani e non ancora famosi. Le riviste scientifiche si sono ridotte di numero e quindi le possibilità di pubblicare sono più scarse. La situazione è ancora più difficile per quei giovani che non appartengono organicamente alla cultura politica della sinistra; infatti uno dei pochi aiuti rimasti alla ricerca è dato dalle Fondazioni culturali, che in maggioranza fanno riferimento alle tradizioni culturali della sinistra. Poche sono quelle di centro, mentre la destra latita, a causa del disinteresse che i suoi capi politici hanno tradizionalmente dimostrato verso la cultura».

Le riviste che trattano di contemporaneità oggi in Italia non sono molte...

«Credo che lo spazio ci sia per una rivista diversa dalle altre, come riteniamo possa essere Nova Historica . La principale differenza è quella della confluenza di tre profili scientifici, la storia politica contemporanea, quella economica e quella delle istituzioni politiche, rappresentata dalla presenza dei quattro direttori, Simona Colarizi, storia contemporanea alla Sapienza, Gaetano Sabatini, storia economica a Roma Tre, Francesco Bonini, storia delle istituzioni politiche alla Lumsa della quale è anche rettore».

Per concludere. È in discussione al Parlamento una cosiddetta «legge sul negazionismo» al grido (di comodo): ce lo chiede l'Europa. Molti studiosi di orientamenti assai diversi hanno sollevato perplessità, dubbi e addirittura allarmi. È veramente qualcosa di necessario e indispensabile? Ci sono pericoli concreti per la ricerca storica svincolata da condizionamenti?

«Il provvedimento ha avuto un iter complesso e faticoso. Prima in commissione sembrava che potesse essere approvato in pochi giorni: il politicamente corretto sembra trovare tutti d'accordo. Invece, proprio gli storici che sono stati ascoltati dai parlamentari hanno espresso - come già negli scorsi anni - perplessità forti e anche opposizioni alla natura del provvedimento, che condanna non soltanto la propaganda di negazionismo o “riduzionismo”, ma anche l'espressione di idee in merito, confezionando una verità ufficiale che offende le vittime che dovrebbero essere tutelate e che penalizza la libera ricerca storica. In aula il provvedimento ha subito diverse modifiche in senso positivo. Ma tali miglioramenti non sono stati sufficienti a fugare il dubbio che questo provvedimento, mentre condanna severamente il reato di propaganda di negazionismo o di “riduzionismo”, condizioni pesantemente la stessa ricerca storica, sancendo per legge una “verità” che non può essere oggetto di revisione.

E, si sa, la storia o è revisione o non è».

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