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Röpke e l’immoralità dell’interventismo statale

L'elaborazione di nuovo liberismo e la ricerca di una "terza via" neLa statalizzazione dell'uomo"Röpke, oggi scaricabile in formato digitale

Röpke e l’immoralità dell’interventismo statale

Oggi scaricabile a soli 1,99 euro "La statalizzazione dell'uomo" di Wilhelm Röpke

Wilhelm Röpke ha occupato una posizione cruciale nell’Europa del ventesimo secolo. È proprio grazie a questo economista che la critica spietata dello statalismo elaborata dalla scuola austriaca e da Ludwig von Misesha investito il mondo tedesco. È lui che favorisce la comprensione da parte di Ludwig Erhard della necessità di liberare i prezzi, permettendo in tal modo – dopo la seconda guerra mondiale – la rinascita di una società uscita distrutta dal conflitto.

Come attestano anche i due saggi del periodo 1964-65 raccolti ne “La statizzazione dell’uomo”, Röpke è assai critico verso i limiti culturali di certo economicismo, comune anche a talune correnti novecentesche schierate a difesa del mercato. La “terza via” elaborata da questo studioso (che da tedesco diverrà svizzero, dopo essersi trasferito a Ginevra) non mira a superare liberalismo e socialismo, ma semmai a ripensare e rafforzare il primo.

Quando parla di terza via Röpke intende elaborare un nuovo liberalismo, sicuramente alternativo a ogni forma di interventismo socialista o conservatore, ma al tempo stesso assai critico nei riguardi di quelle teorie che anche se difendono la concorrenza e avversano la regolazione statale, ugualmente non avvertono le implicazioni morali e culturali dei fondamentali problemi che dividono l’opinione pubblica. Questo aiuta anche a capire come la sua avversione per Keynes o Galbraith, e in generale per gli studiosi orientati a pianificare la vita sociale, sia stata perfino più radicale di quella di molti liberali imbevuti di positivismo e assolutamente indifferenti di fronte a ogni problema di ordine etico.

Nelle pagine sugli “adoratori dello Stato” la polemica con Galbraith non è solo contro l’irragionevolezza dell’interventismo, ma è in diretto rapporto con l’umanesimo cristiano dell’intellettuale tedesco, che avversa con forza l’idea di uno Stato saggio e benevolente: di un Potere potenzialmente illimitato che “sa meglio di noi che cosa ci è utile e che, nella sua umanitaria sollecitudine arriva, sotto il segno dello Stato assistenziale e dell’educazione statalizzata, a sollevare dalle nostre spalle uno dopo l’altro i compiti e le spese che, nella nostra prava individualità, credevamo responsabilità nostra”.

Con questo Stato padrone, evidenzia Röpke, non c’è più spazio per la libertà né per la morale. E non si può salvaguardare la prima senza prendersi a cuore la seconda

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