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Dal rigattiere di parole: "Grazie"

Grazie è una parola che, anche quand'è carica di sentimento, pronunciamo con un certo automatismo. Invece merita di essere osservata per la sua ricchezza di significato

Dal rigattiere di parole: "Grazie"

Grazie è una parola che, anche quand'è carica di sentimento, pronunciamo con un certo automatismo. Invece merita di essere osservata per la sua ricchezza di significato. E', ovviamente, il plurale di grazia, che lo Zingarelli definisce come “sensazione di piacere che destano le cose per la loro naturalezza, semplicità, delicatezza, leggiadria”; per il Deli è “gentilezza dei modi nei rapporti con gli altri”, per il Petrocchi “la maniera naturale che rende piacevoli gli atti, il parlare, le forme”; qualcosa insomma che attiene alla squisitezza e all'armonia dell'universo. E da questi significati originari se ne sviluppano molti altri che riempiono ampie pagine dei vocabolari, confermando il successo della parola, i cui significati spaziano dalla mitologia alla legge, dalla teologia alla tipografia.

Quando noi esclamiamo “Grazie!” utilizziamo, per dirla con il Panlessico, “un modo ellittico che vale Sieno rese grazie a, ne sono debitore o obbligato” (l'ellissi è l'omissione di una o più parole che la costruzione grammaticale richiederebbe). Ecco, dunque: quando noi diciamo grazie, omettiamo la parola “rendere” perché l’atto è proprio quello di “rendere grazie” a qualcuno, cioè gli restituiamo le nostre espressioni di piacere per riconoscergli una gentilezza. Per questo si chiama anche riconoscenza, ed è l'equivalente, per intenderci, di un sorriso. La parola deriva dal latino, dove l'espressione completa è, appunto, agere (fare) oppure habere (avere) oppure referre (restituire) gratias. Da gratias deriva gratus, grato. Nella parola “ringraziare”, esprimere gratitudine, “grazia, grazie, grato” è preceduto dal prefisso “ri” che esprime intensità, ripetizione e restituzione: ringraziare è quasi la sintesi di rendere-grazie.

La famiglia è ampia: grato, gratuito, grazioso, gratitudine, graziare, aggraziato, ruotano tutti intorno a grazia, grazie. Gratis significa “per grazia, senza mercede, senza debito”: gratis, appunto. Ampia gamma anche al negativo: sgraziato, disgrazia (“perdita dell'altrui grazia”), disgraziato. Il prefisso “in” dà prevalentemente significato avverso (ingrato, ingratitudine), ma nella parola “ingraziare” (rendere favorevole, conquistare benevolenza) lo stesso prefisso è illativo (significa condurre verso, all’interno), e quindi resta in ambito positivo. Buonagrazia è “disposizione d’animo favorevole, cortesia, gentilezza” raramente anche “mancia”.

E tutto ha profonde radici greche: come ricorda il Pianigiani, grazie deriva da “chàris”, “ogni cosa che ci rende piacevole ad altri, quindi avvenenza, favore, dono, ricompensa, benevolenza”; il verbo “charizomai” significa “faccio piacere, sono indulgente, dono in ricompensa”. Il latino attinge qui anche per la parola “carus”, caro, che suscita sentimenti d'affetto, e per “caritas”, che prima di voler dire elemosina è innanzitutto benevolenza, amore. Darivano da “chàris” anche carezza e carisma, che è un affascinante misto di influenza e autorevolezza, da cui l’aggettivo carismatico.

La stessa parola greca “chàris” ha dunque generato con successo due parallele e ampie famiglie latine (e poi italiane) che hanno come riferimento “gratia” e “carus”.

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