Cultura e Spettacoli

Rosai pennellava parole sulla potenza dei sentimenti

Il grande pittore fiorentino era anche un notevole letterato. Le sue pagine illustrano una percezione lirica della realtà

Rosai pennellava parole sulla potenza dei sentimenti

Sabato 26 gennaio, a Firenze, è stato presentato il primo volume di un (impossibile) catalogo completo - edito da Giorgio Mondadori - dell'opera di Ottone Rosai, il grande artista amato, tra i moltissimi, da Francis Bacon. Autore dell'impresa, davvero titanica, è il critico Giovanni Faccenda. Sarà il tempo a decidere del valore di questa sua fatica. Resta il fatto che di Ottone Rosai si ricomincia a parlare, dopo decenni di silenzio.

Forse per le parole disseppellite di Bacon. Il suo umanesimo profondo, sanguigno, la sua forza gettata senza calcoli nei suoi quadri debordanti pietà, tenerezza, passione si sono sempre comunicati con facilità agli uomini semplici ma, un po' come è accaduto per altri giganti, la critica ha faticato a inquadrarlo nei suoi profili.
Molti peccati originali hanno offuscato la fortuna di Rosai. L'aver aderito pur brevemente al fascismo. La sua omosessualità vissuta senza gaiezza, anzi con un fondo tragico pari all'amore disperato che ha regalato ai suoi compagni di tragedia. L'essere stato amato da Ragghianti ma non da Longhi. E, da ultimo, l'assenza di istituzioni o fondazioni o associazioni che ne promuovessero la conoscenza presso chi non lo amasse già, favorendo corsi universitari, convegni, mostre all'estero, tesi di laurea.
Rosai ebbe tanti amici (penso a Luzi, a Bigongiari, a Bilenchi, a Betocchi) ma - morto Carlo Ludovico Ragghianti - nessun padrino, nessuno capace di mostrarne il valore ad occhi intenditori, nessuno che scrivesse su di lui saggi memorabili, parole capaci di accompagnare perpetuamente la sua opera, liberandolo dal macchiettismo degli «omini» e delle «stradine», dal fiorentinismo da artista locale, da figura degna ma minore.

Ma Rosai è stato anche grande scrittore. Ai suoi libri più volte ripubblicati, da Il libro di un teppista a Dentro la guerra, si aggiunge oggi, ricco di tante parti poco o nulla conosciute, il bellissimo volume Scritti dispersi (Edizioni Polistampa, pagg. 560, euro 35, a cura di Giuseppe Nicoletti) che raccoglie le carte postume di Carlo Cordié, che di Rosai fu amico e corrispondente.

Del suo valore letterario è prova il breve racconto che proponiamo in questa pagina, dove lo scrittore sale da un materiale quasi aneddotico alla comprensione di un nesso esistenziale profondo, di un male di vivere che abbraccia perfino la spensieratezza della gioventù.
Rosai, di cui sono pronipote, segna come un totem tutta la mia vita. Il suo sentimento lirico e denso della realtà mi raggiunse fin da quando, bambino, parlavo di nascosto con i personaggi dei suoi quadri, e avevo la sensazione che loro parlassero con me. Fu lui, non so come, a insinuare in me, molto precocemente, l'idea (non importa se fondata o meno) che solo l'arte, in qualche modo avrebbe potuto salvare anche me dall'impossibilità di vivere. Non saprei dire se ero malato e trovai in lui, più malato di me, il primo medico.

O se fu lui, alla fine, a fare ammalare me.

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