Cultura e Spettacoli

Sì, viaggiare. Ma per andare dove?

Il 18 gennaio 1989, venticinque anni fa, moriva Bruce Chatwin, l'autore, tra le altre cose, di In Patagonia. Da allora il senso intimo del viaggiare è profondamente cambiato a causa della rivoluzione informatica. L'idea del viaggio implica storicamente vari elementi, positivi e negativi: la sete di conoscenza, la catarsi, la bramosia di potere, l'avidità. Ma anche la nostalgia e il desiderio del ritorno.

Perché il viaggio, per dirla con Montaigne, è la condizione ontologica dell'uomo. Esercizio continuo, primordiale istinto che assegna una nuova luce all'ombra. Allontanarsi dal luogo della propria origine non ha un valore per se stesso, se non si accetta che il viaggio comporti un misurarsi con l'ignoto e l'idea del ritorno. Ulisse, infatti, sfida l'ignoto ma sogna di ritornare a casa. Il moderno viaggiatore è invece in fuga nell'eterno presente. Non c'è luogo cui ritornare, né una direzione «di senso» verso cui tendere. Tutto è sotto i riflettori globali ma nulla è scrutato in profondità. La rete è il paradigma. I numerosi (e utili) strumenti di comunicazione, che raggiungono ogni angolo della terra, generano infatti mutamento sociale e incidono su aspetti emotivi, culturali, relazionali. Tuttavia non ci sono più mondi da esplorare e alterità con le quali misurarsi.

Permane la necessità dello scambio e della condivisione, così come fu per Marco Polo, ma l'incontro reale può anche essere superfluo. Un viso, un profumo, un paesaggio possono essere virtuali e nulla è pregiudicato. È insomma un viaggiare compulsivo dove si acconsente alla riduzione dell'umano nonostante siano amplificate le sue potenzialità tecniche. Ma c'è di più. Oggi, incantevoli e quasi magiche immagini virtuali celano la bellezza della scoperta. E così non solo il viaggio fisico non è più necessario, visto che possiamo visitare musei o città grazie al web, ma addirittura conosciamo ogni minimo particolare ancor prima di essere in un luogo. Perfino l'organizzazione di una banale vacanza viene costretta in una dimensione matematica perché tutto deve essere pianificato in modo che vengano azzerate le sorprese. I risvolti positivi li conosciamo: sono tanti.

Al contempo, però, nemmeno ci sfiora il pensiero che la gestione di ogni particolare ci possa privare per sempre di elementi tutti umani come la fragilità o lo stupore.

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