Cultura e Spettacoli

"Scrivo in francese per capire meglio i criminali italiani"

L'autrice ha avuto grande successo a Parigi con noir ambientati a Roma. Ora i suoi romanzi vengono tradotti per la prima volta... nella sua lingua

"Scrivo in francese per capire meglio i criminali italiani"

I francesi hanno sempre mostrato un grande fiuto nello scoprire e celebrare il talento dei noiristi italiani fin da quando Pierre Bouleau e Thomas Narcejac esaltarono pubblicamente l'originalità di un romanzo come Venere privata di Giorgio Scerbanenco. Da qualche anno oltralpe sta spopolando la serie di inchieste dedicate all'ispettore Mariella De Luca, un personaggio creato da Gilda Piersanti protagonista di storie intense come Rouge Abbatoir , Vert Palatino , Blue Catacombes e Jaune Caravage . Noir distinti fin dal titolo da un colore ben specifico e che scavano non solo nel presente ma anche nel passato del tessuto sociale e criminale italiano. Pubblicata dall'editore Le Passage la scrittrice originaria di Tivoli è stata insignita per le sue opere di vari premi (dal Prix Polar Dans La Ville al Prix du polar SNCF) ed ha festeggiato i fortunati adattamenti televisivi delle sue storie su France 2.

I francesi si sono letteralmente innamorati dei suoi gialli italiani, storie scritte dalla Piersanti nella loro lingua e che solo ora debuttano nel nostro paese con Estate assassina. Un caso per Mariella De Luca (Bompiani, pagg. 237, euro 17). Un'indagine caratterizzata non solo dalla calura che si diffonde nella capitale ma anche dal ritrovamento delle teste mozzate di alcuni sessantenni che segnalano la presenza a Roma di un serial killer. Una storia pubblicata per la prima volta in Francia sette anni fa ma ancora perfettamente attuale.

Le chiediamo: perché il noir la affascina?

«Ho sempre avuto una passione per le storie che si avvicinano alla tragedia greca e per i delitti multipli. Ho sicuramente subito l'influenza di Dostoevskij quand'ero molto giovane. Scrivere noir è stata per me una specie di inclinazione naturale. Un delitto è sempre l'inizio di una storia, è sempre l'apertura di una strada da seguire per risolvere un'inchiesta, è sempre un enigma. È forse questo che mi spinge a scriver questo tipo di letteratura: capire il perché di certi gesti».

Come mai ha scelto di scrivere in francese le sue opere?

«Ho fatto molte traduzioni dal francese in italiano. Da Baudelaire a Balzac, quindi avevo già una certa familiarità con la lingua. La frequentazione con il francese era per me qualcosa di già sperimentato più volte, inoltre vivendo in Francia, è venuto tutto quasi da sé. La cosa curiosa è che poi mi è venuto spontaneo parlare di Roma. Ho cominciato a vederla meglio quando l'ho lasciata rispetto a quando ci abitavo. Roma non è un semplice sfondo per le mie storie. Partecipa essa stessa all'inchiesta, perché non è indifferente muoversi in uno spazio o in un altro».

L'arte ha sempre un ruolo importante.

«Roma è una città in cui la presenza fisica dell'architettura e dell'arte è talmente forte che anche quando non se ne è coscienti penetra nella vita di ognuno. L'ispettore Mariella De Luca abita sul Lungotevere degli artigiani, a Testaccio, può vedere sempre il Gasometro e il fiume Tevere, vede i cambiamenti della città dal suo piccolo appartamentino situato molto in alto. Vede i colori del fiume, osserva i cambiamenti della città che per lei sono un po' come le cattedrali di Monet. La città è sempre la stessa ma contemporaneamente è sempre diversa».

Chi è Mariella De Luca?

«Una giovane donna moderna che vive tutte le difficoltà e le contraddizioni di una donna che è completamente devota al suo lavoro e al tempo stesso ha la convinzione profonda che deve fare molto di più di quello che normalmente dovrebbe fare un uomo per poter essere accettata e giudicata dagli altri».

Mariella ha una doppia vita nella serie.

«È una persona che ha creato una cesura tra quella che è la sua vita intima e quella che è la sua vita professionale. Questo le permette di essere più libera».

Perché colori e stagioni si abbinano nei suoi romanzi?

«Avevo intitolato la mia serie Stagioni assassine perché volevo sviluppare l'idea dell'ineluttabilità delle storie, che una volta finite, non sono proprio finite. Sono terminate perché mettiamo loro una fine ma in realtà resta sempre qualcosa in sospeso in una storia, e naturalmente ricomincia, come le stagioni.

L'idea di regalare la suggestione di un colore specifico alle mie prime quattro storie deriva dalla mia lunga frequentazione della storia dell'arte».

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