Cultura e Spettacoli

«È stato come Cervantes e Dickens»

L'amico-rivale (anche in amore) Mario Vargas Llosa è stato fra i primi a omaggiare la memoria di Gabriel García Márquez, il grande scrittore colombiano morto nella tarda serata di giovedì all'età di 87 anni. «Le sue opere hanno dato una grande diffusione e un grande prestigio alla nostra lingua», ha detto. «I suoi romanzi continueranno a vivere e a conquistare lettori ovunque». Secondo Paulo Coelho, Gabo «ha infranto il muro tra la realtà e la fantasia, aprendo la strada a tutte le generazioni di scrittori sudamericani». «Siamo tutti di Macondo», ha scritto Isabel Allende interpretando un pensiero diffuso in tutto il Sudamerica, sottolineando che Gabo è stato «il pilastro del boom latinoamericano, e il mio maestro. Solo poche opere letterarie riescono a sopravvivere all'implacabile passo del tempo. Ha mostrato a tutti i latinoamericani la nostra immagine nello specchio delle sue pagine. Nei suoi libri ho trovato la mia famiglia, il mio paese... il colore, il ritmo, l'abbondanza del mio continente».
Ma la figura e l'opera di García Márquez non sono soltanto nel cuore dei suoi colleghi latino-americani. «Si dovrebbe tornare fino a Dickens per trovare uno scrittore dall'altissima qualità letteraria capace di influenzare intere popolazioni», ha commentato l'inglese Ian McEwan. «Con lui se ne va non solo una persona straordinaria ma un'epoca. Un'epoca che era capace di innamorarsi delle utopie», afferma Dacia Maraini. «Senza utopie si vive male - ha proseguito - e lui ha saputo raccontare una piccola utopia, una città ideale, la sua Macondo di Cent'anni di solitudine, nata da un sogno, dalla volontà di abbarbicarsi a un terreno ostile, ingrato.

Cent'anni di solitudine è diventato un patrimonio comune come il Don Chisciotte, ed è anche il più amato, con quella piccola città popolata di personaggi dai nomi fiabeschi ma tanto legata alla realtà del suo Paese, dell'America Latina».

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