Cultura e Spettacoli

Tv sermoni e canzoni Così la sinistra è passata da Marx a Sanremo

Tv sermoni e canzoni Così la sinistra è passata da Marx a Sanremo

Nel passaggio dalla qualità (creiamo la «città nuova») alla quantità (il diritto al consumo non dev'essere riservato a pochi), il problema diventa quello di non essere esclusi dai supermarket, dai mass media, dai luoghi di ritrovo comunitario. La parola d'ordine è assecondare i gusti della gente: ci si guarda bene dall'assumere arie di sufficienza o atteggiamenti elitari dinanzi all'uomo della strada - in questa ottica rientra la riabilitazione della commedia erotica all'italiana, fatta da Walter Veltroni con Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda , per il quale il film aveva «aiutato a sconfiggere integralismi bacchettoni e a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore» - ma si punta a riplasmare il «senso comune» del telespettatore con sermoncini sociali edificanti, condendo le «povere idiozie» canore, disprezzate (non sempre a ragione) da Pasolini, con inviti alla tolleranza del diverso, con pensieri rivolti alla fame nel mondo, con rivendicazioni dei diritti sociali. Mangiafuoco e Bengodi sono sempre lì ma a Mangiafuoco viene dato il compito di tradurre per le masse la filosofia del «diritto ad avere diritti» in slogan facili, persuasivi, ammiccanti. \

Quando tanti anni fa, alla Scala, Maurizio Pollini, prima del concerto, lesse una dichiarazione fortemente critica della guerra del Vietnam e di condanna della politica di Washington, furono molti a indignarsi tra gli spettatori: avevano pagato il biglietto per ascoltare le suonate per piano di Chopin non per assistere a un comizio! La reazione, almeno per un liberale, era condivisibile però il gesto di Pollini aveva una sua terribile serietà: interrompeva lo spettacolo ma non confondeva i piani di discorso. La protesta era protesta e la musica metaforicamente usciva dalla sala per farvi rientro a lettura terminata del comunicato. In quegli anni, la militanza ideologica era divisiva e coinvolgente e non esitava a far sentire la sua voce in una «terra straniera», contando sullo «scandalo» e sul sicuro impatto mediatico. Quando non si scontrano più visioni del mondo in mortale conflitto ma ci si ritrova tutti in una piazza in cui s'incontrano uomini e partiti di ogni colore, la tentazione di approfittare di un pubblico assai più ampio di quello delle «subculture» di appartenenza (comunista, cattolica, «nostalgica») diviene irresistibile. Si cerca allora di smerciare le proprie opinioni politiche con battutine e con sketch comici: alla rappresentazione drammatica (Pollini) subentrano lo spettacolo di varietà, il sorriso complice e l'ironia di chi affetta di non prendersi troppo sul serio. In tal modo, l'indignazione di chi non ha avuto l'opportunità di salire sul palcoscenico dell'Ariston per fare anche lui un po' di propaganda gratuita a beneficio della sua pars politica , è in parte ridimensionata dal pensiero che, in fondo, «è un gioco» e che del monologo della Littizzetto non si ricorderà più nessuno.

È preferibile la panpoliticizzazione lieve e irridente di oggi, che però non lascia de facto spazi all'apolitica, o la panpoliticizzazione di ieri che, suo malgrado, doveva arrestarsi dinanzi al diritto all'evasione, disprezzato quanto si vuole ma ben difeso da un popolo intenzionato a «divertirsi e basta»? In un'ottica liberale, la risposta è scontata: l'esproprio del tempo libero, dell'evasione, è assai poco rassicurante e, sui tempi lunghi, pericoloso per quella pluralità dei valori di cui vive la «società aperta».

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