Cultura e Spettacoli

La vera storia della talpa di Le Carré

Ecco come Kim Philby giunse al vertice dei servizi segreti britannici. Nonostante fosse un agente sovietico

Beirut, gennaio 1963. In un appartamento del quartiere cristiano, due spie inglesi mentono l'una all'altra, bevendo una tazza di tè. La conversazione, all'apparenza, è rilassata. Del resto Kim Philby e Nicholas Elliott si conoscono da una vita, e hanno fatto carriera insieme nel mitico MI6, la sezione «esteri» del servizio segreto militare britannico. Kim e Nicholas hanno molto in comune, e hanno condiviso tutto. Sono rampolli di grandi famiglie, hanno studiato in scuole elitarie, vestono impeccabili abiti di sartoria, hanno la sfuggente raffinatezza dei migliori gentleman. Si sono ubriacati insieme e innamorati delle stesse donne. In più hanno organizzato operazioni coperte in mezzo mondo e dato scacco matto all'intelligence nazista, prima di entrare in una nuova epoca, quella della Guerra fredda contro l'Unione Sovietica. Eppure, in quel tardo pomeriggio libanese, si sta consumando una doppia tragedia. Personale, per Elliott. Nazionale, per l'Inghilterra. Philby, ormai in trappola, ammette di essere stato, fin dagli anni Trenta, una spia sovietica. Si dichiara tuttora agli ordini del KGB e rivela una fede incrollabile nel sistema comunista. Philby si è dunque fatto beffe di tutti, anche dell'amico Nicholas, che in buona fede gli ha confidato segreti di Stato. Dalla sua posizione di capo delle operazioni contro l'Urss, Philby ha avuto accesso a informazioni che, trasmesse a Mosca, hanno causato agli inglesi (e agli americani) fallimenti a ripetizione e gravi perdite umane. Elliott, annichilito, raccoglie la confessione di Philby e la trasmette a Londra. Poi, di fatto, lo lascia scappare a Mosca via mare. Negligenza? No, piuttosto un modo di evitare un processo troppo imbarazzante per la Corona. Philby si ritira in Unione Sovietica, dove muore nel 1988, a quanto pare solo e infelice. Nel frattempo, in Occidente, nasce il mito di Kim Philby, la spia per eccellenza. Nel 1974 John le Carré, ex agente MI6, scrive Tinker, Tailor, Soldier, Spy ( La talpa , Mondadori), romanzo liberamente ispirato a Philby e al suo rapporto con Elliott. È un bestseller mondiale.

Lo storico Ben Macintyre ha pubblicato ora A Spy Among Friends. Kim Philby and the Great Betrayal (Bloomsbury), una appassionante biografia di Philby ma anche un ritratto dell'incredibile gruppo di personaggi al centro di questa vicenda. Il volume è arricchito da una lunga postfazione di Le Carré, nella quale lo scrittore racconta, da par suo, gli incontri che ebbe con Elliott e quello, volutamente mancato, con Philby. Sul piano delle nuove acquisizioni, Macintyre mostra i limiti di alcune precedenti ricostruzioni, troppo di parte. Philby, nella autobiografia autorizzata dal KGB, costruisce un esagerato monumento a se stesso. Gli storici inglesi, al contrario, mettono in scena una lunghissima caccia all'uomo in realtà mai avvenuta, per il semplice motivo che Philby venne strenuamente difeso, contro ogni logica, proprio dai suoi colleghi. Perché? Intorno a questa domanda ruota il libro, costruito proprio sull'amicizia tra Philby e Elliott. È la carta vincente di Macintyre, ottima penna, che spalanca un altro abisso, oltre a quello della Guerra fredda, davanti ai nostri occhi. Philby infatti è sinceramente e profondamente legato a Elliott, nonostante tutto. Elliott ricambia il sentimento, rifiutandosi di vedere ciò che proprio a lui più di chiunque altro dovrebbe risultare evidente. Siamo in una misteriosa parte dell'animo umano, capace di tenerezza ma aliena alla morale. Amicizia e tradimento possono andare a braccetto? Forse solo se si è dotati di una doppia personalità come Philby. Le Carré comunque testimonia che, molti anni dopo la defezione di Philby, entrambe le spie, ormai divise dalla Cortina di ferro, celavano a stento l'interesse per le notizie riguardanti il proprio alter ego .

Il libro è molto più divertente di qualunque giallo vi possa capitare tra le mani anche se i fatti, a grandi linee, sono noti. Ci sono dettagli imperdibili. Per qualche tempo, Philby ebbe Graham Greene come braccio destro. Lo scrittore, già iscritto al partito comunista, si dimise improvvisamente dai servizi segreti nel 1944. Forse, il condizionale è d'obbligo, potrebbe averlo fatto perché ormai informato del vero «datore di lavoro» di Philby. La lealtà verso l'uomo, che Greene ammirava, ebbe il sopravvento sulla lealtà verso la patria? Comunque sia, i due rimasero in contatto epistolare per quasi due decenni e Greene accettò di firmare la prefazione alla citata auto-apologia dell'amico ( My Silent War , 1968). Le «tracce» di Philby nella produzione romanzesca di Greene si sprecano e vanno da Il nostro agente all'Havana fino a Il fattore umano . Anche Il terzo uomo , pellicola noir del 1949 di Carol Reed, sceneggiatura di Greene, fu ispirato dai primi sospetti su Philby, che presta alcuni tratti del suo carattere all'inafferrabile Harry Lime interpretato da Orson Welles. Greene stesso, nel romanzo scritto insieme col film, ci fornisce una chiave non ideologica per capire Philby: «Il male era come Peter Pan, portava con sé il dono orribile, tremendo, dell'eterna giovinezza». Curiosamente, come spiega Macintyre, pure Elliott si identificava nel sinistro Lime...

A proposito. Anche Elliott aveva come ottimo amico uno scrittore legato ai servizi segreti: Ian Fleming, il papà di 007. Fleming ha lavorato di fantasia? Anche. Ma spesso ha solo esagerato di poco la realtà. Durante la guerra, per infiltrare una spia sulle coste dell'Olanda occupata dai nazisti, gli inglesi inviarono un uomo rana, Peter Tazelaar, che sotto la muta aveva lo smoking. L'agente giunse sulla spiaggia, a Scheveningen, e in breve tempo fu in abito da sera «aromatizzato» al brandy per sembrare un ubriacone. Tazelaar entrò come un cliente qualsiasi nel casinò sul litorale, quindi raggiunse una radio lanciata in precedenza col paracadute da un aereo alleato. In quel periodo, il capo delle operazioni in Olanda era Nicholas Elliott, e nell'intelligence della marina già operava un certo...

Ian Fleming.

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