Cultura e Spettacoli

Vita agra d'artista La rivoluzione timida di Piero Manzoni

Borghesissimo, scanzonato e mite. Al bar Jamaica di Milano una serata in onore del ragazzino che inventò l'avanguardia

Vita agra d'artista La rivoluzione timida di Piero Manzoni

A Milano il vicolo Piero Manzoni, pittore, 1933-1963, proprio dietro il Jamaica, è cortissimo. Diciamo una trentina di metri. Diciamo come gli anni della sua vita. Una vita d'artista. Vita agra, vita vissuta totalmente. La vita di uno zingaro timido dell'arte.
Zingaro che ribaltando il concetto stesso di opera d'arte reinterpretò il ruolo di artista, un anti-bohémien borghesissimo che aveva capito che non basta «dire diversamente» le cose ma bisogna dire cose diverse, Piero Manzoni era un personaggio capace di rancori e dolcezze incredibili, così dicono i suoi vecchi amici.

E giovedì sera, 13 giugno, ottantesimo compleanno, in anticipo di un mese, di Piero Manzoni, e cinquantesimo della morte improvvisa e imprevedibile, i suoi vecchi amici si sono dati appuntamento, in absentia del maestro, proprio nel retro del bar Jamaica, nel cortile in vicolo Piero Manzoni, nella sua Brera, per una festa triste o una allegra veglia funebre, dal titolo semplice «Ciao, Piero», in memoria del mito di un ragazzo semplice che visse poco, ma totalmente en artiste, anticipatore dell'oggi, che lavorò pochissimo, meno di dieci anni, ma fece tutto, incapace di ripetersi: gli Achromes, i Corpi d'aria, le Sculture viventi, la Merda d'artista, 33 grammi di scarti umani che ora sono l'essenza del contemporaneo, le Basi magiche, le Linee.
L'altra sera, gli studenti di Brera, chiassosi performer concettuali, hanno srotolato una linea di carta, lunga cento metri, dall'entrata dell'Accademia al cortiletto del Jamaica, una leggera striscia bianca e nera - una «cosa già fatta», di quelle a cui Piero Manzoni sapeva però dare senso - una strada immaginaria che collega i luoghi dell'arte a quelli della vita, che nel caso di Piero coincisero, e la Milano di allora a quella di oggi. «Il fatto che oggi ci siano gli studenti - dice un prof dei “lineisti”, Marco Meneguzzo - vuol dire che se l'Italia ormai dimentica tutto, alcune cose di ieri però, alcuni amici, si ricordano ancora».

E di qua e di là dalla linea di carta, in mezzo al cortile, ci sono gli amici che ricordano, che lo ricordano, mentre esce la biografia di Flaminio Gualdoni Piero Manzoni. Vita d'artista(Johan & Levi) e Milano prepara la grande mostra monografica (se ci saranno i soldi) a ottobre a Palazzo Reale. C'è Gualtiero Marchesi, fondatore della «nuova cucina italiana», che ha tre anni più di quanti ne avrebbe il fondatore della «nuova arte italiana». Insieme, qui, mangiavano, parlavano e bevevano. Ci sono i fotografi della Milano d'allora e dell'Italia di oggi, tutti maestri, tutti con la macchina al collo, i cui lavori tappezzano le pareti del Jamaica: Uliano Lucas, Carlo Orsi, Fabrizio Garghetti… C'è Franco Raggi, architetto underground, direttore della storica rivista di design Modo. C'è Franco Sciardelli, il grande stampatore di libri d'artista, che aveva una piccola galleria in via Palermo («Me lo ricordo il Piero, passava spesso, da me e da Antonio Maschera, che stava di fronte… Guardava i quadri, tutti figurativi, e diceva “Bene, bene…”, ma non gli interessavano, lui era già all'avanguardia…). C'è lo storico editore Giampaolo Preparo: «pubblicai il primo catalogo generale di Piero Manzoni, nel 1973, quasi mi rovinai… non lo comprò nessuno», e oggi tutti lo vogliono. C'è naturalmente Micaela Mainini, la Signora del Jamaica, figlia di Elio, che era il Jamaica: «Papà e Piero erano amicissimi… Fu lui il primo a soccorrerlo quando Piero stette male, qui fuori, in strada, poi lo portò nella sua casa-studio di via Fiori Chiari, dove mor셻. C'è Ennio Brion, il grande «committente d'autore», potentissimo presidente degli Amici di Brera, e geloso collezionista di Manzoni. C'è Lisa Ponti, figlia di Gio. C'è Nanda Vigo, designer e architetto, l'«artista compagna dell'artista», affaticatissima dai suoi 76 anni e elegantissima con i suoi ganti bianchi e neri: «Amavo lui e la sua capacità di uscire sempre dagli schemi, nell'arte e nella vita… Stasera mentre venivo qui mi è venuto in mente, chissà perché, una canzoncina che Piero cantava sempre, per scherzo, una canzoncina sulla falsariga di un famoso Carosello, diceva “Aver sul Permaflex/ la donna col complex/ questa è la vita sex/ spermaflex, spermaflex…” La cantava quando era contento… Stasera la canterebbe…».

E poi c'è Elena Manzoni, sorella di Piero: «Moltissima gente qui mi saluta con grande affetto. Ma non so chi sono… Certo Piero aveva molti amici, e moltissimi sedicenti tali… A tutte le feste, del resto, c'è qualcuno che si aggiunge all'ultimo». Piero e Elena, sette anni di differenza, la stessa timidezza: «Era anche un po' geloso, e in un certo senso, lui che le regole nell'arte le infrangeva, anche conformista nei costumi: non voleva che noi sorelle frequentassimo Brera, diceva che non era un ambiente adatto a una ragazza per bene...».
Stasera a Brera c'è tanta gente, per bene e per male. Amici e sedicenti tali. Dell'enorme torta che rifà un Achrome degli anni Cinquanta, una «tela» bianca grinzata di glassa bianca, avanzano poche fette. È tardi ormai. Rimangono pezzi della strada di carta strappati, i bicchieri di Martini bianco rovesciati, i pacchetti di sigarette vuoti, le stradine vocianti di Brera.
La tua Brera.

Ciao, Piero.

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